venerdì 4 gennaio 2019

GRUNDIG SV85 - Un signore d'altri tempi (1967)


Il Grundig SV85, membro di una serie che va dal SV80 fino al SV200, tutti basati sullo stesso preamplificatore e sullo stesso finale e con arrangiamenti minori tanto esterni che interni che, tranne per un modello incorporante anche un sintonizzatore analogico, non si differenziavano in modo sostanziale tra loro (ma non per questo erano privi di differenze circuitali anche di un certo peso), è uno splendido amplificatore da 30 Watt reali su 4 Ohm che, oggigiorno inesorabilmente datato dal punto di vista circuitale, ha rappresentato nel momento in cui venne progettato (1967-68) un buon e ben riuscito tentativo di trasporre nello stato solido circuitazioni allora solitamente utilizzate nelle realizzazioni a tubi, conservandone al tempo stesso il "sound" tipico di questi ultimi - difetti compresi che però, all'epoca (ma ancora oggi per moltissimi appassionati) non erano percepiti come tali.

Il suono, anche per l'influenza di una più che consistente dotazione di filtri a tasti (un'impostazione ereditata di peso da quella allora tipica dei "radiogrammofoni di famiglia" - I "radioloni dei nonni", o del papà per gli ormai non più giovanissimi), risulta complessivamente "piacione" ma anche poco affaticante. Come altre elettroniche audio (e video) Grundig, questo amplificatore è pensato più per essere gradevole (cercando di non divenire troppo stucchevole) piuttosto che per essere "preciso": il target di queste elettroniche erano i padri di famiglia, che la musica l'ascoltano per distendersi, senza stare a farsi troppe menate "tecniche" oltre lo stretto necessario.

Introduzione generale

Il circuito dell'SV85 è, come testimonianza di un'epoca e delle risorse in essa disponibili, interessante anche se non da urlo. Non è un circuito innovativo (e non lo era nemmeno all'epoca in cui fu progettato) ed è tutt'altro che esente da pecche anche serie ma nondimeno lascia trasparire da vari particolari che chi lo progettò aveva, piuttosto che una "filosofia" come molti si vantano oggi, almeno idee precise e definite su cosa fa "suonare" un amplificatore audio in generale ma soprattutto un amplificatore a stato solido.
L'impostazione generale, piuttosto differente da quella adottata nella maggior parte degli amplificatori a transistori contemporanei, è quella di realizzare anzitutto un buon preamplificatore, aggiungendogli poi, anzichè un vero e proprio amplificatore di potenza separato, "uno stadio in più" in grado di erogare potenza ma che, per la impostazione, è in realtà una vera e propria continuazione del preamplificatore che diventa così, un po' paradossalmente, un "preamplificatore di potenza". Impostazione che si riflette anche sulle scelte relative all'alimentatore, in cui fuori dallo stabilizzatore (alimentato a parte da un secondario dedicato) vi sono soltanto i transistori finali (4 per canale, parallelati a due a due) e i loro piloti; l'unico altro circuito al di fuori dello stabilizzatore è quello che attiva il relè di uscita (usato solo per l'inserzione ritardata e per disattivare gli altoparlanti quando è inserita la cuffa: non esiste alcun circuito di protezione dalla corrente continua sull'uscita - e in assoluto questa è la mancanza più grave dell'apparecchio).


Lo stabilizzatore usato è di tipo molto semplice (uno zener filtrato e adeguatamente bufferato in corrente da un transistor di media potenza) ma è allo stesso tempo anche il più adatto ad alimentare circuiti audio: a questi circuiti non servono tanto alimentazioni precise quanto piuttosto ottimamente filtrate da ogni tipo di spuria suscettibile di interferire e di intermodulare con il segnale audio: le linee di alimentazione di un circuito, soprattutto quelle reali con le loro brave impedenze che per quanto piccole possano essere (e non si possono certo ridurrre a piacere) non sono comunque mai nulle, costituiscono a tutti gli effetti degli "ingressi impropri" in grado di recepire disturbi, distorsioni, segnali spuri ecc. e mandarli sulle uscite del circuito a far compagnia molesta al segnale desiderato (audio nel nostro caso ma il discorso vale per tutti i circuiti analogici). Rispetto ad altre situazioni, la quantità (e la qualità: la grandezza deve mantenere valore costante ed elevato sull'iintera banda audio e possibilmente anche un bel po' oltre - almeno fino a 50-100 kHz) del SVRR di un alimentatore hanno in questo caso la precedenza su ogni altro parametro.
L'alimentatore dei finali è invece il solito trio composto da trasformatore, rettificatore e condensatori di filtro che peraltro, come impostato in questa elettronica (con due ponti B80C2200 brutalmente connessi in parallelo) suscita non poche perplessità circa la sua tenuta a lungo termine, al punto che al riguardo ho ritenuto doveroso apportare, sull'esemplare in mio possesso, modifiche sostanziali per garantirne la tenuta e le prestazioni sotto carico. Del resto non è questo il primo caso (soprattutto con apparecchi prodotti da grandi industrie) in cui, nello stesso apparecchio, convivono sia soluzioni da considerare con attenzione sia "cadute di stile" assolutamente incoerenti e ingiustificabili
Delle due modifiche circuitali apportate, quella sull'alimentatore dei finali è quella veramente importante: l'altra, una modifica dello stadio d'uscita (in pratica una resistenza sostituita con un diodo) è giusto una rifnitura di ammodernamento di questa parte del circuito (che diventa così un quasi complementare compensato con diodo di Baxandall che, nel suo piccolo, ha addolcito di qualcosa la timbrica, soprattutto ai bassi livelli - da notare peraltro che il fatto stesso che questa variante circuitale, successivamente diventata di routine in quasi tutti gli amplificatori a simmetria quasi complementare, testimonia già di per sé la veneranda età del progetto, sicuramente antecedente alla prima pubblicazione su Wireless World - nel 1967-68 - che Peter Baxandall fece di questo espediente circuitale).


Altri generi di modifiche tipicamente "audiofile" (la parallelizzazione di alcuni condensatori al tantalio con piccoli plastici) non hanno sortito alcun effetto udibile e non ne consiglio la ripetizione ad altri per l'ottima ragione che, in questo apparecchio, sono una pura e semplice perdita di tempo. Sconsiglio anche la sostituzione degli elettrolitici: la qualità degli originali, nel mio caso, si è rivelata veramente buona NONOSTANTE i 25-30 anni che aveva sulle spalle al momento dell'acquisto (un buon sette anni fa per "l'astronomica" cifra di 30 euro...).
A parte il rettificatore di potenza che alimenta i finali (di cui dirò alla fine) l'apparecchio ha richiesto solo la sostituzione dei trimmer di taratura (vecchi e ossidatissimi), dei transistors di ingresso ad alto livello del preamplificatore (che, per colpa di qualche sovratensione, si erano deteriorati e soffiavano fastidiosamente) e, per ragioni precauzionali, dei transistori finali del VAS (un BC141 per canale che apparivano piuttosto tirati per il collo, soprattutto per quel che riguarda i loro limiti di tensione, che sono stati sostituiti da due BD379, "alias" dei soliti BD139 ma un filo meno taroccati di questi ultimi).
Qualunque altro tipo di sostituzione e/o modifica del circuito, come già detto, si è rivelata complessivamente una solida smentita a tante credenze "audiofile" (soprattutto relative all'influenza dei condensatori sulla timbrica) di cui al tempo subivo pure io l'influenza: gli effetti netti prodotti dal solito armamentario di "trucchi" assommavano complessivamente a un bello zero tondo. Perfino l'aumento delle capacità di livellamento delle tensioni di alimentazione dei vari stadi del preamplificatore si sono rivelate completamente ininfluenti, segno questo che non solo lo spartano stabilizzatore di tensione fa il suo mestiere ma lo fa anche molto bene.

Grundig SV85 - Il preamplificatore



Nell'immagine soprastante è raffigurato l'intero circuito preamplificatore del SV85. I punti salienti che lo contraddistinguono e ne fanno un buon testimone dei suoi antecedenti valvolari sono soprattutto tre: 1) un'intensiva filtrazione in cascata delle linee di alimentazione (divise per ciascun canale) che isolano i singoli stadi oltre che dai disturbi generali di alimentazione anche (e forse soprattutto) tra di loro; 2) l'uso integrale di filtri in frequenza in versione passiva - con la sola eccezione, quasi inevitabile considerati i problemi che avrebbe posto il percorrere una strada diversa, costituita dallo stadio equalizzatore RIAA a basso livello (il cui circuito attivo serve l'ingresso Phono MM, Phono XTAL e Microfono magmetodinamico); 3) l'assenza di ogni compensazione in frequenza sui singoli dispositivi attivi, che tendono così ad emulare il comportamento dei tubi elettronici anche in termini di loro banda passante naturale (che si estende fino ad alcuni MHz).
A differenza di molti altri preamplificatori simili, lo stadio di ingresso a basso livello (phono e microfono) viene effettivamente utilizzato solo per segnali a basso livello; quelli ad alto livello (tuner, aux, registratore e monitor) lo saltano a piè pari come è giusto che sia (che poi in effetti è anche più pratico; ma quarant'anni un transistor in più o in meno poteva far la differenza tra essere dentro o fuori budget, con tutte le conseguenze del caso, anche quelle oggi meno comprensibili).
Per quanto riguarda i filtri, la concezione dell'insieme è semplice e allo stesso tempo "sicura" rispetto ad altre allo stesso tempo più sofisticate ma anche più incerte sotto il profilo della timbrica finale: i dispositivi attivi sono usati esclusivamente come integratori di guadagno aventi risposta in frequenza lineare e utilzzando la retroazione solo in forma locale sui singoli stadi o al massimo sui due stadi in cascata tra loro: ovvero utilizzandola nella forma più benigna possibile e meno esposta al rischio di subire stravolgimenti da parte delle reti reattive che compongono i filtri le quali, anche se non sono incluse nella controreazione degli stadi attivi, sono comunque visti da questi come carichi di uscita o come impedenze di ingresso, una situazione che, anche se più tranquilla, non è comunque totalmente innocua.

Tutto l'insieme del preamplificatore dà l'impressione che chi lo ha progettato si fosse precedentemente "scottato" con circuitazioni forse più brillanti ma anche più instabili e che da ciò abbia maturato un approccio "medico" alla controreazione generale: un qualcosa cioè da usarsi solo se e quando serve.
Detto in altro modo, se in un dato stadio è sufficiente usare un inseguitore di emettitore, si usa quello e basta, senza complicarlo più del necessario. Fin quando i problemi di linearità non diventano veramente importanti, della controreazione generale multistadio si cerca di farne il minor uso possibile e questo non per partito preso ma semplicemente per prudenza: controreazionare circuiti a bipolari che con la loro alta transconduttanza offrono guadagni ad anello aperto quasi irraggiungibili dai circuiti a tubi, comporta problemi e pericoli di instabilità ben più consistenti di quelli presenti in questi ultimi. Problemi che, se si potevano evitare, si evitano con ogni benedizione - L'epoca del "1 op-amp, 3 resistenze, 3 condensatori" era ancora un decennio di là da venire (come tante altre cose del resto).


Grundig SV85:
Il "preamplificatore finale"



Qui sopra è raffigurato lo stadio finale dell'apparecchio, abbastanza inconsueto rispetto a quanto reperiible oggigiorno e con uno schema tale da farmelo considerare spontaneamente un "preamplificatore di potenza", cioè una vera e propria continuazione del preamplificatore anzichè uno stadio completamente separato da esso. Una impostazione che, anche sulla base di quanto intuibile dall'esame del preamplificatore circa l'atteggiamento prudenziale del o dei progettisti nei confronti della retroazione, era di fatto quasi obbligata.

L'intero stadio finale è impostato come una cascata di due subamplificatori, il primo in tensione e il secondo in corrente, che, strutturalmente indipendenti tra di loro, rappresentano una anticipazione della struttura che, un buon quindici anni dopo (dalla metà degli anni ottanta), diverrà lo schema standard con cui verranno realizzati vari generi di ibridi valvole + stadio di uscita a stato solido. Per quanto tale schema possa oggi apparire "datato" riesce tuttavia non solo ad assicurare buone prestazioni tecniche (con distorsioni confinate sempre al di sotto dello 0.1-0.2 per cento) ma riesce pure a garantire, come composizione della distorsione di uscita, un comportamento decisamente sovrapponibile a quello di amplificatori a tubi di caratteristiche simili, confermando così con un altro tassello il suo carattere di "valvolare allo stato solido"; un carattere non casuale ma lucidamente voluto e perseguito dai suoi progettisti.

Dei due subamplificatori il primo, quello dedicato al guadagno in tensione, è il più sofisticato e interessante; tuttavia anche il secondo - ovvero lo stadio di uscita vero e proprio - ha i suoi aspetti interessanti. Il primo e più evidente è l'impiego di una doppia coppia di finali per canale (per un totale di otto 2N3055, all'epoca finali di nuovissima produzione) che serve a mantenere alto il guadagno di corrente dello stadio di uscita (e per conseguenza bassa la sua distorsione complessiva) fin oltre i quattro Ampere di uscita, ovvero fin alla massima potenza di uscita realmente erogabile dal circuito (30 Watt per canale su 4 Ohm, che all'epoca erano tutto tranne che pochi). Su questo stadio, sostituendo le resistenze in serie agli emettitori dei piloti PNP con un diodo 1N4002 per canale, si può ottenere un leggero miglioramento delle prestazioni a basso livello - cioè in prossimità del passaggio per lo zero dei finali - rendendo più simili e simmetriche tra loro le trasconduttanze del ramo positivo e negativo dello stadio di uscita di ciascun canale ma soprattutto smorzandone le variazioni al passaggio per l'incrocio sul funzionamento dell'anello di retroazione, che si ritrova così un filo più stabile che in precedenza.

Il secondo aspetto interessante dello stadio finale (che in realtà coinvolge anche lo stadio precedente) è la protezione dalle sovracorrenti di uscita che avviene non, come solitamente (e perniciosamente) si usa, tagliando il pilotaggio in corrente dei finali ma interdicendo dolcemente il funzionamento dello stadio amplificatore in tensione, che finisce così per lavorare con correnti e guadagni ridotti: un "soft-clipping" largamente in anticipo sui tempi (il NAD 3020 verrà comercializzato solo un decennio più tardi) ma anche decisamente più sofisticato: qui non si "tosa" il segnale ma si riduce piuttosto il guadagno in tensione a sua disposizione, agendo in modo molto simile a quello di un vero e proprio AGC o controllo di volume automatico.
Il cuore di questo sistema, oltre che dai primi due transistori del subamplificatore di tensione, è costituito dai transistori al germanio AC153, che qui sono collegati a diodo. In caso di rottura essi possono venir sostituiti sia (se reperibili) da altri transistor al germanio della serie che va dall'AC127 all'AC188, sia molto più agevolmente, da un diodo Schottky (assolutamente NON da un normale diodo al silicio!) in grado di reggere 50 Volt inversi e una corrente diretta di un centinaio di mA. Il diodo Schottky deve essere scelto tra quelli aventi la più bassa tensione di soglia possibile (dopotutto era questo il motivo che ha spinto i progettisti Grundig a utilizzare un transistor al germanio collegato a diodo: ottenere appunto un "diodo" a bassa tensione di soglia avente contemporaneamente una discreta tenuta in corrente, cosa che gli allora correnti - ma già obsoleti e destinati all'estinzione - diodi di segnale della serie "OAxx" non erano in grado di garantire con affidabilità).

Il circuito che sovrintende alla limitazione-protezione di corrente è costituito da una sorta di "rivelatore di picco" che, al verficarsi di un sovraccarico sulle uscite, ne memorizza l'impulso in tensione che provoca sulla resistenza di emettitore (una di quelle da 0,51 Ohm) di uno dei transistori di uscita "bassi" sul condensatore elettrolitico C525 (sul canale sinistro; C526 sul canale destro) il quale, caricandosi, fa entrare in conduzione i diodi D501 e D503 (D502 e D504 per il canale destro) che, interdetti durante il funzionamento normale dell'amplificatore, finiscono in questo modo per deviare a massa il segnale presente sulla base del transistor d'ingresso T501 e, nello stesso tempo, a spostare il suo punto di lavoro verso l'interdizione, diminuendo così il guadagno totale del sistema e disinnescando sul nascere la "lotta" che, con protezioni più convenzionali, avverrebbe tra i limitatori e il guadagno di anello del sistema, con esiti alle volte decisamente poco "protettivi" nel senso che comunque, se non "muoiono" i finali vi è la più che discreta possibilità che muoiano al loro posto i transistori che li pilotano in tensione.

Il circuito di protezione è, per sua costruzione, intrinsecamente temporizzato: infatti ad un tempo di intervento rapido dello stesso fa da contraltare un tempo di "sganciamento" relativamente più consistente stabilito dalla resistenza R589 (R590) da 22 kOhm. La soglia di intervento di questo limitatore si aggira all'incirca tra i 2 e i 2.5 Ampere per transistor finale (4-5 Ampere totali per canale che, per un ampli da 30 Watt su 4 Ohm non sono pochi e che permettono, a differenza di altri casi, di considerare l'impedenza dei diffusori con relativa elasticità) e vale soprattutto come salvaguardia contro i sovraccarichi transitorii; a limitare quelli più persistenti è invece preposto il fusibile ritardato da 3.15 Ampere posto sull'alimentazione dei finali "alti" dello stadio di uscita (il circuito originale prevedeva in realtà un fusibile per ciascun ramo, alto e basso, dello stadio finale; consiglio però, come indicato da schema, di lasciare solo quello superiore e cortocircuitare quello "di mezzo". Questo perchè, in caso di bruciatura per "vecchiaia" di quest'ultimo nulla garantisce che la controreazione esistente (che, nonostante le cautele dei progettisti, è comunque abbastanza robusta) non combini pasticci di suo, con possibili inneschi che farebbero una frittata di tutto quanto. Del resto, nel caso piuttosto improbabile che i finali (superiori o inferiori) andassero in corto, il fusibile rimasto salterebbe comunque, garantendo così il confinamento del guasto (o almeno si spera lo faccia! La battuta sui transistori che "proteggono" i fusibili molte volte non è solo una battuta!).

Nel complesso, se questo amplificatore viene usato e trattato civilmente, i limitatori non dovrebbero intervenire praticamente mai. I fusibili invece, deteriorandosi con il tempo, andrebbero cambiati d'ufficio almeno una volta ogni due-tre anni. Del resto, nel pochissimo di vero che circola sul "suono dei fusibili", la vecchiaia di servizio di questi gioca un ruolo fondamentale: spesso basta sostituirli con esemplari nuovi aventi le stesse caratteristiche per cambiare il suono in maniera nettamente udibile (e tanto più nettamente se l'amplificatore ha tra i suoi trascorsi ripetuti "quasi sovraccarichi" che, pur non essendo riusciti a far saltare i fusibili sono però riusciti a stressarli a sufficienza da aumentarne la loro resistenza intrinseca - peraltro non lineare - con tutte le conseguenze del caso; un paragone che può rendere l'idea di quello che succede in questi casi é quello di una molla che, per eccesso di sollecitazione, prima si deforma e infine si rompe).


Grundig SV85:
Il VAS dello stadio finale

I primi tre transistor del finale del SV85, quelli che danno vita all'amplificatore di tensione, costituiscono nell'insieme delle loro interazioni, un piccolo gioiellino di elettronica analogica e audio in special modo; e questo ben a dispetto della sua apparenza "vetusta" e poco sofisticata. La sofisticatezza di questa parte del circuito è in effeti in gran parte invisibile e consiste soprattutto nei ragionamenti che si intravvedono dietro la sua scelta e il suo dimensionamento.


Nella figura soprastante ho riportato, isolato da tutto il resto, la sola parte di schema di questo circuito che, sebbene deputato a fare da "VAS" nei confronti dello stadio finale, è in realtà un vero proprio minuscolo amplificatore di piccola potenza indipendente dallo stadio di uscita. Con l'aggiunta di un solo transistor in classe A adeguatamente dissipato sarebbe perfettamente in grado di funzionare da amplificatore per cuffia - e non certo tra gli ultimi della classe! Questo arrangiamento ne fa un vero e proprio antenato di tutti gli amplificatori che poi, in un modo o nell'altro adotteranno il cosiddetto "current dumping", ovvero una concezione strambaazzata per "nuova e rivoluzionaria" che alla fin della fiera tanto nuova non è... e la famiglia di questo SV85 lo dimostra in modo plateale!

Lasciando perdere per ora il chi viene prima e dopo in questo genere di scoperte e "riscoperte" (paurosamente simili a quelle della sempre amata acqua calda...), vale la pena di notare qui quella che in effetti è una caratteristica anche del circuito del preamplificatore: l'uso sistematico di resistori in serie alle basi dei transistori di valore abbastanza prossimo a quello della Rbb intrinseca di questi ultimi, volti alla linearizzazione del comportamento generale di questi dispositivi; questi resistori, andando ad agire sulla retroazione interna dei transistori, spianano e regolarizzano anche altri parametri importanti per la linearità dei bipolari (l'impedenza di ingresso ma soprattutto quella di uscita) che la sola degenerazione di emettitore (che riduce e linearizza soltanto la transconduttanza dei dispositivi) non è in grado di fare.

Vale la pena di sottolineare la differente natura di questo tipo di linearizzazione che, a differenza della più nota degenerazione di emettitore la quale, in buona sostanza, riduce l'influenza delle non linearità lasciandole di per sè immutate, questa altera proprio il comportamento intrinseco del transistor che si trova così non solo a distorcere di meno ma anche a distorcere in modo differente rispetto a quello suo "naturale".
al punto di vista qualitativo, il tipo di influenza esercitata dalle resistenze poste in serie alle basi è analoga a quella che, in un pentodo, viene esercitata da una resistenza collegante l'anodo alla griglia schermo, che trasforma il pentodo in un vero e proprio TIPO DI TUBO DIFFERENTE avente, in termini di distorsione e di rendimento, prestazioni che, intermedie tra quelle di un pentodo e quelle di un triodo, sono nondimeno CARATTERISTICHE PROPRIE SPECIFICHE del tubo collegato in questo modo.

Il VAS di questo amplificatore è, come già detto, un vero e proprio miniamplificatore indipendente dotato anzitutto di una sua propria rete di retroazione generale che permette di ottenere tre distinti vantaggi, due "interni" e uno "esterno":

1) La distorsione del VAS già bassa per conto suo, viene ridotta a livelli realmente ininfluenti rispetto al computo totale, lasciando sul campo la sola distorsione generata dallo stadio di potenza vero e proprio.

2) Viene ridotta drasticamente l'impedenza di uscita propria dell'intero VAS che appare così al finale che lo segue come un VERO amplificatore di tensione a prescindere dall'ulteriore retroazione che viene prelevata dall'uscita effettiva dell'amplificatore di potenza.

3) Permette di utilizzare l'intera retroazione prelevata dall'uscita per la sola correzione delle non linearità dello stadio finale che, nonostante glii accorgimenti presi anche qui per ridurle al minimo, sono inevitabilmente piuttosto consistenti.

Una quarta e meno esplicita caratteristica di questo circuito è quella di usare un alto tasso di retroazione complessivo, facendolo apparire ai due subamplificatori che se la spartiscono come di molto inferiore a quella che effettivamente è. Vale la pena di approfondire qualche dettaglio.
Il VAS, privato della sua retroazione interna, esibisce un guadagno intrinseco in tensione che si aggira intorno alle 45-46.000 volte (pari a circa 93 dB). Questo quadagno è all'incirca suddiviso in 110 volte per il transistor T501 e in 415 volte per T503 e T505 (che formano, a causa delle reti di bootstraap tra lin circuito di emettitore di T505 e quello di collettore di T503, un'unica entità circuitale - Il cui fine principale è quello di ottenere combinatamente un elevato guadagno in tensione, un'impedenza di uscita intrinseca non stratosferica e, buon ultimo, un funzionamento quanto più possibile a corrente costante di T505... Se non vi si accende ancora nessuna lampadina date una scorsa agli articoli "tutor" sull'amplificazione presenti in questo blog! :-).
I guadagni intrinseci di questa rete di transistor stabiliscono, tramite i due condensatori di compensazione presenti (C505 da 27 pF e C513 da ben 330 pF), l'effettiva banda passante ad anello aperto del circuito.

C505 equivale, includendo anche la capacità della giunzione base-collettore di T501, ad una capacità di 28-29 pF che, moltiplicato per il guadagno di questo stadio (110 come già detto), appare all'ingresso come un condensatore da 3.15 nF che, senza retroazione, va in parallelo a un'impedenza di ingresso costituita da R509 da 56 Ohm - che si somma ad altri 56 Ohm equivalenti all'inverso della transconduttanza di T501 - che moltiplicata per un beta di T501 compreso tra 200 e 250 da un risultato medio pari a circa 24 kOhm; sempre in parallelo si pone l'impedenza equivalente del circuito precedente l'ingresso, cioè lo stadio dei toni che nella più che probabile posizione neutra appare come una resistenza di circa 7-8 kOhm. Tutto questo conduce a una cella RC passa basso la cui frequenza di taglio è pari all'incirca a 8700 Hz, piuttosto alta e chiaro indizio del fatto che siamo in presenza di una compensazione a doppia costante di tempo e doppia pendenza (cioè 12 dB/ottava).

Sulla seconda costante di tempo occorre dire che il progettista ha posto in essere un'astuzia: infatti questa funziona allo stesso tempo da secondo polo di compensazione (rispetto a T503) e da zero di recupero del margine di fase (nei confronti della controreazione interstadio dell'intero VAS). Il primo ruolo è definito da C513 da 330 pF che, moltiplicato per 415 (il guadagno dello stadio composto da T503-T505) appare sull'emettitore di T501 (che esibisce una impedenza equivalente al parallelo di R509 con la "re"/inverso di gm dello stesso T501, quindi 28 Ohm circa), come un po' po' di condensatore da 137 nF, formando così un polo da circa 41.5 kHz. La compensazione adottata è effettivamente a doppia pendenza.
C513 funziona però, come già detto, anche come zero di recupero ad anello chiuso e lo fa finendo di fatto in parallelo a R543 da 56 kOhm che altro non è che la resistenza di retroazione generale "interna" al VAS. Questo zero vale circa 8.6 kHz, un valore molto prossimo a quello del polo di ingresso. Chi si è letto l'articolo sul V7000 noterà immediatamente che, mentre in quell'amplificatore lo zero era giusto un "ritocco" ad alta frequenza (già ben dentro le onde lunghe!), in questo è invece un intervento piuttosto drastico. La ragione di ciò sta nel diverso tipo di transistori finali usati e soprattutto nei loro limiti in frequenza: mentre quelli del V7000, erano piuttosto piccoli e veloci e, con la loro FT di 10-15 MHz, in grado di lavorare con pochi problemi anche a frequenze prossime (o anche un po' superiori) ai 100 kHz, quelli usati nel SV85 e apparentati sono inesorabilmente lenti: i 2N3055 della prima generazione (fabbricati con una tecnica ormai estinta che sacrificava la velocità a un'ottima robustezza termica grazie alla riduzione ai minimi termini della cosiddetta "valanga secondaria" - second breakdown) non "correvano" oltre una FT reale di 500-600 kHz (ed erano pure tra i più veloci della loro famiglia!), un limite che imponeva, al salire della frequenza, la massma prudenza, pena il ritrovari i piloti a fungere da "finali impropri" con conseguenze non precisamente felici (immaginando questi finali come dei "cavalli da traino", il cercare di farli correre più veloci del consentito significava semplicemente ritrovarsi davanti a loro a tirare il carretto con le proprie spalle!). Questa, tra l'altro, è pure la seconda ragione che ha spinto il progettista a duplicare i finali, ovvero, oltre che per sostenere la loro linearità al crescere della corrente di uscita, anche per sostenerne la banda passante che semplicemente crollava non appena si superavano correnti di collettore di 1 Ampere o giù di lì.

Nel SV85 il progettista ha comunque cercato di ottenere un compromesso tra la "lumacaggine" dei finali e le esigenze di ottenere quanto più possibile una banda passante naturale estesa utilizzando comunque per questo scopo la compensazione a doppia pendenza e ottenendo così due obiettivi:

1) assicurare una retroazione ragionevolmente costante per una parte estesa e soprattutto "importante" della banda audio.

2) conservare abbastanza "sostenute" le capacità del VAS di pilotare i finali anche nella parte alta della banda audio (cioè oltre i 10 kHz fino a circa 25-30 kHz) in modo da contenere il degrado entro limiti accettabili. Questa è la ragione del polo e dello zero che lavorano, ad anello chiuso, compensandosi a vicenda e mantenendo, almeno entro il VAS, un tasso di retroazione costante sull'intera banda audio NONOSTANTE la necessità di ridurre il guadagno del VAS già da ben dentro la banda audio.

Una volta chiuso l'anello locale del VAS, il quadagno di questo si riduce a circa 2000 (66 dB) fatto che mentre lo fa apparire all'esterno come un circuito ancora da controreazione, in realtà lo controreaziona già di quel tanto (27 dB, pari a 23 volte) sufficiente a spianare le non linearità statiche residue del circuito e ad "allargare" senza esagerare la banda passante in modo da conservare, anche nel pilotaggio diretto dello stadio finale "esterno", almeno parte della costanza del tasso di retroazione che il VAS è riuscito a conservare per sè stesso.

Infine, per quanto riguarda lo stadio finale e la chiusura del suo proprio anello di retroazione, questa avviene tramite R519 da 1.5 kOhm che si chiude sempre su R509 da 56 Ohm e che riduce il guadagno del sistema al suo valore finale, pari a circa 54-55 (circa 34-35 dB) che, rispetto al guadagno con il solo VAS controreazionato, costituisce un tasso di retroazione pari a circa 31-32 dB, un tasso assolutamente ragionevole dal punto di vista della stabilità ma relativamente insufficiente per uno stadio di uscita allo "stato brado", che giustifica ampiamente le cure poste nella realizzazione dello stadio di uscita che, lungi dall'essere "voluttuarie", come si potrebbe essere frettolosamente indotti a concludere dal fatto che "per fare un 30 Watt con i 2N3055 basta una coppia sola", sono invece semplicemente necessarie: il progettista che ha ideato e "creato" questo amplificatore voleva ottenere un risultato qualitativamente impeccabile mettendoci tutto quello che serve ma senza per questo buttare i soldi dalla finestra.

In conclusione, un circuito che se forse non era "all'ultima moda" nemmeno ai tempi in cui  nacque, sicuramente era frutto della mente di un progettista di classe, tutt'altro che banale e scontato. Ci ritornerò in chiusura, quando, per l'ultima volta, dirò qualcosa a proposito del famoso "segreto Grundig" e del mirabolante "team" che ne avrebbe posseduto le chiavi, misteriosamente volatilizzatosi nel nulla dopo una una non ben precisata "esternalizzazione" della produzione audio a un dipresso dal fallimento e dal successivo assorbimento in Philips della stessa Grundig. Prima però, come promesso all'inizio, devo spendere qualche parola sull'alimentatore dei finali, quasi sicuramente "progettato" da qualcuno che con il progetto originale non c'entrava nulla.


Grundig SV85:
Correzione dell'alimentatore

L'alimentatore originale dei finali di questo amplificatore, come si può vedere nello schema dello stadio finale, oltre ad essere banalmente convenzionale, adotta come rettificatori due ponti B40C2200 che, così brutalmente connessi in parallelo, gridano vendetta al cielo. E lo grida ancora di più il loro montaggio pratico, su una basetta a parte, avvitata alla lamiera che scherma e separa la piastra del preamplificatore da quella del finale. Un montaggio che, oltre ad essere uno sparadisturbi per conto suo, è pure aiutato in questo da cavi "sospesi" che vanno dal trasformatore a tale basetta e tornano successivamente indietro per andare finalmente a finire dove devono andare a finire, cioè sui condensatori di livellamento.
Sia per lo stridente contrasto con la raffinatezza concettale del resto dell'apparecchio, sia per il modo stesso in cui tale alimentatore è montato, questo ha tutta l'impressione di un coniglio tirato fuori dal cappello all'ultimo minuto per fronteggiare un problema sopravvenuto in un secondo tempo rispetto al progetto (forse la mancata produzione e/o consegna di un altro tipo di rettificatore che ha spinto gli ingegneri di produzione - solitamente non coincidenti con i progettisti veri e propri - a correre in fretta e furia ai ripari).
Fortunatamente il tipo di trasformatore e il resto della costruzione, assieme al fatto che oggi esistono ponti raddrizzattori potenti e compatti, consentono in questo caso di rimediare all'incongruenza apportandovi pure un ulteriore e meritato miglioramento. Si veda l'illustrazione sottostante.I secondari del trasformatore del SV85 sono fortunatamente indipendenti tra loro e questo consente di collegarli ciascuno a un rettificatore dedicato. Per la disposizione dei pin dei ponti KBL04 e per il tipo di connessioni previste sui condensatori di livellamento dell'amplificatore, ciascun ponte può essere saldato direttamente sul condensatore dell'una o dell'altra polarità di alimentazione minimizzando così il tragitto dei picchi di carica.
Una ulteriore minimizzazione dei disturbi prodotti da questi picchi consiste, oltre che nel recuperare e saldare sui ponti come da illustrazione i due condensatori da 47nF C801 e C802, nell'attorcigliare a treccia i fili di ciascun secondario provenienti dal trasformatore (i fili sono isolati, oltre dalla smaltatura, anche da una guaina isolante). L'attorcigliare i fili, normalmente inutile se in essi corre la normale corrente alternata a 50 Hz sinuoidali, è invece utilissima in questo caso perchè permette di neutralizzare sul nascere l'irradiazione causati dai picchi di corrente di carica in transito sui fili stessi.

Il vantaggio elettrico principale del tipo di connessione illustrata in figura è quello di escludere COMPLETAMENTE il trasformatore dal circuito quando i ponti sono interdetti (e lo sono per la maggior parte del tempo), isolando anche la connessione di massa dagli avvolgimenti del trasformatore e migliorando così non di poco l'immunità dell'amplificatore al rumore e ai disturbi provenienti dalla rete elettrica.


... e per finire...


Dei Grundig, in Italia, soprattutto per l'azione di un gruppo di appassionati orbitanti attorno a Massimo Ambrosini che li ha organizzati prima in una mailing-list e poi in un forum da lui stesso creati, sì è nel bene e nel male parlato molto. Tra gli aspetti più discussi e controversi vi è l'affermazione che in Grundig vi fosse un gruppo di progettisti che avesse studiato e sviluppato tecniche particolari di progettazione e realizzazione degli apparecchi audio a cui sarebbe per intero dovuto il loro "carattere sonoro", la loro "musicalità" e via discorrendo.

Quali possano essere (o essere state) queste tecniche non è qui la sede adatta per discuterne. Quello che invece vale la pena di approfondire è se questo mitico "team" sia realmente esistito o se piuttosto non sia la proiezione del desiderio di Ambrosini di dare un retroterra più o meno "prestigioso" (e, vale la pena di notare, opportunamente defunto...) ad affermazioni e tecniche che, quale che sia il loro valore intrinseco, sono probabilmente solo ed esclusivamente farina del suo sacco e come tale se le dovrebbe gestire senza cercare coperture "storiche" che non stanno da nessuna parte.

Molti indizi fanno propendere per questa seconda ipotesi e, tra questi, vi è proprio la notevole coerenza di principi concettuali che stanno alla base di progetti di elettroniche audio che coprono un periodo di quasi vent'anni, tra il 1965 e il 1985 (ma è molto probabile che questo sia solo il periodo in cui i semiconduttori in Grundig hanno soppiantato i tubi a vuoto; del periodo precedente non sembra sia stato indagato nulla dal punto di vista tecnico).
Una coerenza che è tale per l'ottimo motivo che è il frutto del lavoro DI UNA PERSONA SOLA che, probabilmente da una posizione di lavoro adeguata, è stata in grado di controllare la produzione delle elettroniche audio dandogli la sua impronta ingegneristica e concettuale. Quindi nessun team e nessun bisogno di un team o di una "ricerca segreta" ma molto più prosaicamente una sola persona che nel tempo ha maturato una sua esperienza, delle sue convinzioni ed è pure stata in grado di raggiungere una posizione tale che gli consentisse di esprimerle e farle valere in maniera tangibile e concreta.

Per il tipo di impostazione tecnica che hanno, buona parte delle elettroniche Grundig, soprattutto audio (o nella loro parte audio), non sono affatto frutto di un "team" ma di una sola mente che ha impostato ed evoluto nel tempo un unico filo conduttore su cui sono cresciute la sua esperienza e sono maturate le sue decisioni. Un'esperienza prevalentemente empirica e pertanto non facilmente tramandabile.
Le elettroniche della serie a cui appartiene l'SV85 così come i V7000, i vari ricevitori da R20 a R45 ed altre elettroniche derivate sono, soprattutto su alcuni aspetti circuitali non banali (uso della controreazione, compensazioni della stessa, predominio della sezione preamplificatrice rispetto a quella di potenza, pulizia intrinseca delle alimentazioni degli stadi non di potenza), frutto di un'unica concezione progettuale sulla base della quale il progettista che la propugnava decideva in proposito di volta in volta sia sui progetti gestiti in prima persona sia su quelli semplicemente supervisionati a distanza (una situazione questa divenuta quasi certamente prevalente a partire dalla seconda metà degli anni settanta fino alla chiusura della Grundig, quando ormai questa persona, per ragioni di carriera e ruolo ma anche di età, non poteva più permettersi di fare l'ingegnere "puro" ma doveva necessariamente delegare ad altri gli aspetti "minori" del suo lavoro).

Questa persona, ricca di conoscenze ed esperienza (non è azzardato pensare che lavorasse in Grundig fin dai primi anni cinquanta), aveva i suoi pregi ma ovviamente anche le sue carenze. La sua forza è evidente nel disegno dei preamplificatori; lo è un po' meno in quello dei finali di potenza, aspetto in cui negli ultimi anni della Grundig è più evidente  l'intervento di altre persone, sicuramente subordinate ma più fresche e relativamente aggiornate, che potevano affrontare meglio la progettazione di un moderno finale a stato solido nonostante fossero ben lungi dal possedere la raffinata sensibilità progettuale del loro superiore per il resto dell'apparecchio.

Che fine ha fatto questa persona? Quasi certamente quella che prima o poi (si spera!) fanno tutte le persone che lavorano: è andato in pensione e, per quanto se ne può dedurre, non ci è andato certo da "baby-pensionato". Tutto fa pensare che, poco prima che Grundig fallisse e venisse assorbita dalla Philips, questa persona si "esternalizzò" da sola andando in pensione e portando con sé la sua esperienza e il suo background empirico. Una esperienza che tutto fa pensare fosse esclusivamente SUA e non avesse condiviso con nessuno non perché avesse chissà quali segreti da nascondere ma per il buon motivo che un'esperienza composta in buona parte da una somma di conoscenze acquisite e rifinite empiricamente strada facendo è fondamentalmente intrasmissibile attraverso la normale comunicazione umana. Per capire la "vita" di una persona (o anche solo un suo aspetto, in questo caso quello professionale) non si può fare altro che "riviverla" a propria volta, sperando di capirla e nello stesso tempo arricchirla con un proprio apporto valido.

Se si fa l'ipotesi che all'epoca della progettazione del SV85 (1967) questa persona fosse abbastanza importante da gestirsi un progetto - e forse anche la sua direzione - in proprio, si può ipotizzare contestualmente che avesse almeno un'età compresa tra i 40 e i 50 anni. Quindi non più giovane e anzi probabilmente più vicino ai cinquanta che ai quaranta, quanto basta a collocarlo, diciotto anni dopo (1985), in un'età di più che meritata pensionabilità.
Per quel che riguarda l'oggi, tenendo conto che ormai sono quasi trascorsi altri venticinque anni, si può stimare che, nel migliore dei casi, abbia passato da un po' gli ottant'anni e che con buona probabilità sia passato semplicemente a miglior vita. In questo stato di cose sui "segreti alla Grundig" si può dire qualsiasi cosa perché tanto le possibilità di essere smentiti e confutati da un testimone diretto (e per come la penso io si tratta in effetti di UN SOLO possibile testimone diretto) sono, per dirla con un eufemismo, veramente ridotte al minimo. Vari indizi raccolti in rete mi hanno peraltro portato a pensare che questa persona sia scomparsa all'inizio di questo decennio (tra il 2001 e il 2002).

Stando così le cose si può tranquillamente affermare che, se la storia del famoso "team audio alla Grundig" non è già una leggenda pura e semplice, essa lo diverrà comunque molto presto a causa della sua sopraggiunta inverificabilità. Per quella parte che vi è di vero sulla famosa "esternalizzazione" si può ragionevolmente affermare che questa avvenne quando ormai questa persona si era già congedata in pensione; andata via lei non vi era più alcuna ragione per tenere in piedi un reparto (quello audio) che commercialmente aveva smesso di essere redditizio da tempo e che con tutta probabilità era stato mantenuto fino a quel momento giusto come una forma di riguardo per questa stessa persona.
Dopo di che non venne esternato nessun "team audio" per il buon motivo che questo team in realtà non è mai esistito come tale: i tecnici e gli ingegneri subordinati a questa persona erano appunto soltanto dei subordinati che, se non vennero licenziati al momento della chiusura del settore audio della Grundig, cambiarono semplicemente reparto senza portarsi dietro alcuna particolare esperienza o "memoria storica"; sicuramente non più di quella che si porta dietro una segretaria quando cambia ufficio o posto di lavoro.
 Questo anche in virtù del fatto che, nonostante il progettare elettroniche audio possa essere una passione coinvolgente, dal punto di vista professionale e carrieristico non dà agli ingegneri più lustro e prestigio di quanto ne possa dare a uno scrittore il "pubblicare" una lista della spesa.

Che cosa ci rimane allora? Esattamente quello che rimane sempre in questi casi: gli oggetti, i prodotti del lavoro, fisico o mentale, di una persona attraverso cui, con calma e pazienza, possiamo cercare di ricostruire un barlume di quanto gli passava per la testa quando li ha fatti. E anche se sembra poco è invece tantissimo: anzi, è spesso l'unica cosa che ci rimane della vita di un'altra persona che vada al di delle solite quattro cose che più o meno tutti combinano nella vita (è nato, è cresciuto, si è o no sposato ecc.).
Gli esseri umani vivono troppo poco e lasciano impronte troppo labili per durare nel tempo, salvo per un'importante eccezione: quando il terreno in cui una mente vuol lasciare un'impronta è un'altra mente: qui, se si riesce ad afferrarla e a girarla, sta l'unica chiave che ci è concessa per passare la porta dell'eternità senza svanire nel nulla, cioè trasmettere ad altri ciò che ci è passato per la testa, l'unico tratto realmente "unico" che, nel bene e nel male, ci distingue l'uno dall'altro.

Piercarlo Boletti

(aggiornato al 7 agosto 2012) 


2 commenti:

  1. Bellissimo articolo.
    Sia la parte tecnica, sia la conclusione.
    Condivido Appieno.

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  2. Da vecchio appassionato di audio elettronica comprendo e conforto quanto letto. Semplicemente fantastico.

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