martedì 27 gennaio 2009

LA CONTROREAZIONE - 1A

Questo testo nel suo complesso é tuttora in fase di elaborazione ma almeno questa prima parte introduttiva (1A) si può considerare ragionevolmente chiusa, anche se sicuramente non mancheranno in futuro ritocchi e correzioni.

Per il momento godetevi quel che c'è! :-)

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Premessa


Sulla controreazione, a giudicare da quanto è stato scritto in giro a proposito e a sproposito, non vi dovrebbe essere più essere nulla da dire: essa, dal punto di vista divulgativo, è stata cucinata in ogni salsa possibile e su di essa sono stati tranciati ogni genere di giudizi definitivi - spesso tanto più definitivi quanto in effetti sono opposti tra loro...

Nella realtà dei fatti, specie a livello NON divulgativo, il processo di chiarimento e sistematizzazione teorica dell'intera questione è tutt'ora vivacemente in corso con una discreta produzione di testi soprattutto a livello (molto) specialistico. Mentre infatti non vi sono più nella pratica grandi incertezze sul "come" e sul "quanto" usare la controreazione - al punto da essere purtroppo vittima di banalizzazioni abbastanza fuori luogo (e che comunque sorvolano alla grande sulli dettagli) - dal punto di vista teorico sulla controreazione non tutto appare così ovvio e scontato come potrebbero invece far pensare i quasi ottant'anni di vita trascorsi da quando fu ideata e proposta, nel 1927, da Harold Black.

Il mio primo scopo qui è evidenziare anzitutto cosa sia IN SE la controreazione, quali sono i suoi problemi intrinseci e, in seconda battuta, rivedere l'esposizione classica che di solito ne viene fatta a livello divulgativo (volta soprattutto a porre in evidenza gli effetti e i "miracoli" anzichè il macchinario che li produce e i limiti a cui, come tutte le realtà del nostro mondo fisico, è inevitabilmente soggetto). La suddivisione dell'intero articolo in due post distinti (di cui il primo a sua volta suddiviso in due parti) rispecchia questo modo di vedere la questione.

Sulle origini storiche della controtreazione e del suo "cugino" concettuale - il feedforward - ho già scritto nel primo dei due post dedicati al Quad 405, in cui avevo anche abbozzato alcune considerazioni che vengono riprese più estesamente in questo doppio post. In particolare, riprendendo la metafora del "drago-motore" della retroazione, la prima parte del post descrive nel modo più chiaro possibile le caratteristiche di questo "drago" mentre la seconda sarà dedicata a comprendere meglio che cosa si può fargli fare (ma anche NON fargli fare) al "nostro drago" una volta opportunamente "addomesticato".

Infine, per quanto mi riguarda, non ho una posizione di principio o "ideologica" sulla controreazione; semplicemente la considero un utile attrezzo avente, come tutte le cose, i suoi pro e i suoi contro e pertanto da utilizzare in maniera ponderata, senza demonizzazioni o reificazioni che lasciano il tempo che trovano. Quale che sia l'utilizzo che se ne vuole fare, la controreazione va anzitutto capita per quello che è, per quello che può dare e anche per quello che NON può dare, senza preconcetti aprioristici; il mio augurio è che quanto state per leggere contribuisca, a prescindere dalle preferenze di ciascuno, ad aiutarvi a farvi un'idea più chiara sull'intera questione per poi decidere di conseguenza.

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Le condizioni di base per costituire una retroazione

Il prerequisito essenziale per utilizzare un qualsiasi tipo di retroazione elettronica, positiva o negativa che sia, è disporre di un circuito in grado di amplificare in potenza un segnale applicato al suo ingresso e poi convenientemente sfruttabile alla sua uscita. Non vi fosse questo vincolo, sarebbe possibile "retroazionare" anche gli avvolgimenti di un trasformatore e ottenere così una macchina a moto perpetuo che crea energia dal nulla - cioè una impossibilità fisica. Un trasformatore può beninteso essere utilizzato in una rete di retroazione (ad esempio per realizzare un oscillatore) ma, per farlo, occorre che il segnale di retroazione passi attraverso un ulteriore elemento in grado di aumentarne l'energia - allo scopo è sufficiente che si tratti anche di un semplice inseguitore di tensione. E per quel che riguarda gli oscillatori, esiste veramente un tipo basato su tale concetto, noto come "oscillatore di Hartley": in esso uno degli avvolgimenti del trasformatore - che può essere anche un autotrasformatore con presa intermedia - è connesso in parallelo ad un condensatore che, costituendo un circuito risonante, obbliga l'intero oscillatore a lavorare ad una frequenza predeterminata.

E' importante tenere a mente quanto appena detto: una retroazione positiva o negativa che sia RICHIEDE ENERGIA PER SOSTENERSI - e la richiede anche in assenza di un segnale utile all'ingresso del circuito. Energia che per quanto ridotta possa essere, deve essergli in ogni caso fornita dallo stesso circuito retroazionato.
Questo particolare, in sè ovvio, ci permette di evidenziare un tratto della controreazione che dovrebbe anch'esso essere considerato "ovvio" ma che in pratica non lo è affatto: la controreazione non è "un circuito" ma un processo che avviene in un circuito qualora gli si impongano determinate connessioni e condizioni di funzionamento. In questo lo status della retroazione é identico a quello della risonanza, anch'essa un processo che avviene IN un circuito ma che è di per sè NON è un circuito.
D'altra parte, come vedremo a suo tempo, l'essere la retroazione un processo che si autosostiene a determinate condizioni, ci fornisce la chiave per ovviare a quello che è il suo più importante problema intrinseco - quello della stabilità - ossia il limitare il contesto in cui tali condizioni (anzitutto la disponibilità di guadagno in potenza) restano valide e sufficienti a garantire il funzionamento del sistema.

La retroazione presente o aggiunta in un circuito viene considerata positiva se essa risponde ad un segnale di stimolo in modo da INCREMENTARE l'ampiezza dello stimolo stesso, rafforzandolo ed eventualmente rigenerandolo (caso di un oscillatore elettronico); oppure viene considerata negativa se il suo effetto è quello di DIMINUIRE l'ampiezza di detto stimolo, contrastandolo fino a smorzarlo e ad estinguerlo. Come già accennato in precedenza, nell'introduzione al Quad 405, tale caratterizzazione è definita unicamente dal fatto che il segnale, percorrendo l'anello di retroazione, conserva o inverte il suo segno. Tale caratteristica è indipendente dalla natura invertente o non invertente amplificatore; mentre quest'ultima infatti rimane una scelta arbitraria del progettista, la prima è rigorosamente obbligata dal tipo di retroazione scelta per il circuito.

Il segno dell'anello di retroazione (positivo-rafforzante o negativo-smorzante) è definito staticamente dal numero di inversioni presenti nell'anello stesso e dinamicamente dai TEMPI DI TRANSITO che il segnale impiega a percorrere tutti gli stadi di cui è composto l'anello. Questi tempi di transito giocano un ruolo di importanza capitale nel definire le massime frequenze a cui un circuito può lavorare stabilmente sia come amplificatore (retroazione negativa) sia come oscillatore (retroazione positiva) (*)

(*) Nel testo precedente e seguente quando si parla di segnale si intende un segnale di composizione qualsiasi in cui a far testo in ciascun istante sono soltanto la sua ampiezza istantanea e il suo essere crescente o decrescente in un dato intervallo di tempo. Si è evitato di proposito ogni accenno alla "fase" di detto segnale in modo da conservare al termine "segnale" il senso più generale possibile, prescindendo a priori da frequenze o forme d'onda particolari.

L'anello di retroazione.

L'anello di retroazione è il "cuore" di ogni circuito retroazionato. Nel definire le proprietà di un circuito retroazionato, le proprietà dell'anello sono di fatto l'unico agente di rilievo in quanto tutto il resto del circuito, quale che sia la sua raffinatezza (o rozzezza), viene ridotto a mero "serbatoio" di guadagno in potenza. Ed è da questo serbatoio che il processo di retroazione attinge le sue forze per controllare e stabilizzare le caratteristiche del circuito che lo alimenta, in modo da conformarne il comportamento a quanto richiesto dal progetto.
Questo tipo di controllo esercitato dalla retroazione sui parametri di un circuito ha per conseguenza il rendere in linea di principio tutti i circuiti fondamentali di amplificazione (in tensione, in corrente, per trasconduttanza o transresistenza) perfettamente intercambiabili tra di loro: in normali condizioni di lavoro, un utilizzatore non ha alcun indizio evidente che gli consenta di distinguere, in un circuito, se una funzione di trasferimento è "nativa" oppure costruita ad arte usando la controreazione.
Questa
è la ragione di fondo per cui tutti i circuiti robustamente controreazionati tendono a fornire prestazioni piuttosto simili, quali che siano le loro reali prestazioni native quando si trovano a lavorare ad anello aperto; queste ultime in effetti influenzano più gli estremi qualitativi caratteristici dell'intero sistema controreazionato che non le sue prestazioni "medie". Si può anzi dire che, se non si fosse obbligati da problemi intrinseci di stabilità a limitare il tasso di retroazione alle alte frequenze di un circuito, le differenze residue tra i vari circuiti sarebbero di fatto rilevabili solo con opportune misure strumentali.

Il funzionamento interno dell'anello di retroazione.


Il funzionamento interno dell'anello di retroazione è, per l'intima comprensione dell'intero circuito sottoposto al suo controllo, molto più fondamentale dei cambiamenti che esso provoca sul suo comportamento, così come percepibili dall'esterno (impedenze, bande passanti, tempi di reazione ecc.), i quali si possono consideare semplici effetti e conseguenze del suo esistere, agire ma soprattutto REAGIRE agli stimoli provenienti dall'esterno dell'anello stesso. Ciò vale anzitutto per i circuiti a retroazione negativa, che costituiscono il tema di fondo del post.

Un anello di retroazione negativa, in qualunque modo venga formato è caratterizzato, per conto suo, fondamentalmente da due sole caratteristiche: 1) l'essere un anello, cioè una struttura in cui qualsiasi punto preso in considerazione è, NELLO STESSO TEMPO, un punto di ingresso e di uscita del sistema stesso; 2) l'essere, in un qualunque suo punto, un soppressore anzichè un amplificatore degli stimoli che vengono iniettati al suo interno. Delle due, la prima caratteristica è pertinente anche alla retroazione positiva, mentre la seconda è specifica di quella negativa.

La capacità di soppressione, solitamente chiamata "guadagno di anello", è definibile come il rapporto tra lo stimolo esterno applicato all'anello stesso e il segnale necessario all'amplificatore incluso nell'anello (usualmente chiamato "segnale di errore") per generare un controstimolo interno che equalizzi e sopprima il più possibile il segnale-stimolo proveniente dall'esterno, nel punto in cui esso viene iniettato nell'anello. In questo stesso punto esso rappresenta anche il massimo segnale residuo lasciato "vivo" dal processo.

Tale segnale interno può essere chiamato sia segnale di soppressione sia segnale di errore perchè è proprio la sua esistenza come "errore", cioè il suo essere una grandezza ridotta dell'immagine (in senso matematico: due insiemi di dati o di segnali sono definiti reciprocamente "immagini" quando tra di essi esiste una coppia di funzioni, una inversa dell'altra, per permette di passare da un insieme all'altro e viceversa) sintetizzata da tutti i fattori, voluti o fortuiti (in cui vi è incluso anche il segnale che si vuole amplificare e/o trasformare) perturbanti l'equilibrio dell'anello, che permette di contrastare questi ultimi - trovando così un nuovo punto di equilibrio dell'anello stesso che, nel constrastare le perturbazioni esterne, sia il meno distante possibile da quella posseduto in loro assenza. Tale distanza (quantificata proprio dal segnale di errore) è naturalmente tanto minore quanto maggiore è il guadagno di anello del sistema.

Come ricavare lavoro dalla retroazione.

Da quanto appena detto è evidente che, fintanto che l'anello di retroazione viene lasciato a "mordersi la coda" per i fatti suoi, esso non serve a un bel nulla o quasi. Ciò che rende estremamente utile la retroazione negativa in un circuito elettronico (solitamente ma non necessariamente analogico) è il fatto che, una volta definito sull'anello il punto di applicazione ("ingresso") di uno stimolo esterno e l'intensità con cui sopprimerlo (che, soggetta ai vincoli di stabilità del circuito, non può purtroppo essere grande a piacere), e quindi anche l'intensità del segnale di errore residuo, tra questo stesso punto e un altro punto dell'anello ("uscita") scelto arbitrariamente in base alle nostre esigenze, può essere stabilita una relazione numerica o analitica QUALSIASI, il cui solo requisito essenziale è di essere continua in tutto l'intervallo di ampiezze, di frequenze e tempi di intervento utilizzati dal segnale che ci interessa processare nel sistema. E questo vale anche per i sistemi a commutazione: se la massima frequenza del segnale da amplificare è meno della metà della frequenza di commutazione, allora quest'ultima si può considerare la "frequenza di campionamento virtuale" di un sistema che comunque, alle condizioni appena dette, rispetta spontaneamente il teorema del campionamento di Shannon (ovviamente, nella pratica, lo "spontaneamente" va un po'... aiutato!).

La relazione stabilita dalla rete di retroazione tra i due punti dell'anello assunti come ingresso e uscita dello stesso è staticamente una relazione tra segnale di ingresso dato e segnale di uscita desiderato presi come "assoluti" e dinamicamente una relazione tra i segnali di errore presenti sui questi stessi - e ciò indipendentemente dalla complessità della mediazione operata dalla rete stessa. Mentre sul punto dell'anello direttamente sottoposto allo stimolo di ingresso, il segnale di errore si riduce quanto più possibile allo stretto necessario a generare il controstimolo di soppressione, nel punto considerato come uscita del sistema il segnale di errore è rappresentato da una sua immagine dinamica mediata dalla funzione di trasferimento propria della rete di retroazione.

Per capire meglio cosa questo significhi, occorre riprendere un passaggio di quanto già scritto nel primo dei due post sul Quad 405, in cui vengono descritte le componenti del segnale di errore che circola in ciascun istante in un anello di retrozione perturbato da uno stimolo esterno. Che sono:

1) La quantità di segnale richiesta dalll'amplificatore interno per produrre, ad anello aperto, la medesima uscita prodotta dal sistema retroazionato, quale che sia la sua rete di retroazione. Tale quantità rappresenta anche la "memoria" del valor medio di tutte le variazioni di segnale che hanno preceduto quella corrente: una memoria che viene opportunamente "dimenticata" e "sostituita" via via che la sua "anzianità" eccede la costante di tempo più lunga presente nell'anello di retroazione, quella che definisce il limite inferiore della banda passante del sistema. In un sistema capace di lavorare in corrente continua (ad esempio uno stabilizzatore di tensione) tale "memoria" non è altro che un offset in continua presente al suo ingresso.

2) Le variazioni del segnale di errore necessarie a compensare le perturbazioni che colpiscono transitoriamente il sistema, sia provenienti dall'esterno (le variazioni istantanee di un segnale audio o i disturbi impulsivi che si presentano sulle alimentazioni), sia generate internamente (le distorsioni e le intermodulazioni
proprie del circuito).

Il primo dei due contributi, finchè non viene estinto dalle costanti di tempo del circuito, rappresenta, rispetto a quanto affermato prima, la parte "statica" (o anche "storica") del segnale di errore (cioè la parte a cui l'anello di retroazione ha già reagito) mentre la seconda ne rappresenta quella "dinamica", cioè quella che l'anello di retroazione sta effettivamente TUTTORA contrastando entro un dato intervallo di tempo, con un'ampiezza tanto più rilevante quanto più tale intervallo si approssima ai tempi di transisto pripri dell'anello stesso.
Per entrambi i contributi, la rete di retroazione si limita semplicemente, conformemente alle caratteristiche della propria funzione di trasferimento, a trasporre una loro immagine dall'ingresso all'uscita (*).

(*) E' illuminante a questo punto vedere il caso dell'inseguitore di tensione a operazionali, la cui "rete di retroazione" è un semplice collegamento tra uscita e ingresso invertente dell'operazionale stesso. In esso l'unica differenza esistente tra il segnale di ingresso e di uscita del circuito è giusto il segnale di errore presente nell'anello che è però anche in questo caso formato da due componenti, una statica "storica" e una dinamica "attuale" la cui presenza viene evidenziata particolarmente dai transienti veloci del segnale proposto all'ingresso dell'inseguitore.

Il primo limite base della retroazione.

Il fatto che il segnale di uscita dell'amplificatore non sia affatto, dal punto di vista dinamico, una ricostruzione diretta del segnale di ingresso bensì la somma di due contributi distinti comporta la non trascurabile conseguenza che la controreazione non è, nei confronti delle variazioni del segnale, incondizionatamente neutra: lo è solo se il processo di derivazione del segnale di ingresso + perturbazioni varie da cui l'anello ricava il segnale di errore è completamente reversibile dal successivo processo di integrazione che si verifica sul carico connesso all'uscita del circuito. Come vedremo più avanti parlando delle compensazioni, non è un risultato nè scontato nè automatico.
Fortunamente però la soluzione a questo problema è abbastanza semplice: perchè il processo di retroazione ricostruisca sull'uscita di un sistema le esatte variazioni dinamiche del segnale presentato all'ingresso di questo, è sufficiente assicurarsi che dall'anello siano escluse o rese ininfluenti, nella banda passante che ci interessa, tutte le componenti della funzione di trasferimento sensibili alla velocità del segnale - il che equivale a dire che ogni componente reattiva presente nell'anello va esclusa o compensata in modo da annullarne gli effetti.
Nel caso la rete di retroazione sia essa stessa dipendente dal tale velocità, occorre far sì che nella parte di anello esterna alla rete stessa (che volendo possiamo chiamare "antirete di retroazione" in quanto le due metà dell'anello sezionato dalla coppia di punti che abbiamo definito "ingresso" e "uscita" del sistema, sono effettivamente antagoniste tra loro) vi sia, nella banda passante interessata dal segnale desiderato, una funzione "nascosta", anch'essa dipendente dalla velocità del segnale che, sommata a quella palese della rete di retroazione effettiva (quale può essere, ad esempio, l'equalizzazione RIAA di uno stadio phono), garantisca in tutte le condizioni di lavoro che ci interessano, un guadagno di anello COSTANTE e di per sè NON dipendente dalla velocità del segnale.

Le conseguenze pratiche di questa condizione si riducono alla fine a due soltanto: 1) La retroazione va usata, ogni volta che è possibile, su circuiti che, sia ad anello aperto che ad anello chiuso, siano lineari in frequenza sull'intera banda passante che ci interessa trattare 2) qualsiasi tipo di equalizzazione del segnale dipendente dalla velocità dello stesso va posta in essere, ogni volta che è possibile, all'esterno di qualunque circuito retroazionato.
Ora, mentre sul secondo punto, purchè si valutino diligentemente tutti i pro e i contro della situazione, non vi sono in genere grossi problemi, sul primo punto vi è invece un grosso guaio: le necessarie compensazioni preposte ad assicurare la stabilità di un circuito controreazionato (e ancor più di uno FORTEMENTE controreazionato) non possono per ovvie ragioni essere neutre rispetto alla velocità del segnale proprio perchè la loro efficacia consiste nel rendere il circuito ad anello aperto tanto più "sordo" e indolente quanto più aumenta la velocità (e la frequenza) dei segnali in transito, togliendo a questi l'energia necessaria a innescare e sostenere autoscillazioni.

Il secondo limite base della retroazione.

La ragione di fondo per cui un circuito retroazionato, se non vengono osservate alcune precauzioni, tende definitamente a divenire instabile, dipende praticamente da un unico fattore tanto semplice quanto in definitiva non eludibile: i tempi di reazione di un anello, per quanto possano essere ridotti, non sono annullabili. Da ciò consegue che, in assenza di opportuni provvedimenti, qualunque sistema retroazionato è soggetto al rischio di subire perturbazioni e stimoli che, non concedendogli il tempo materiale di reagire, finiscono letteralmente per "travolgerlo" e a degradarlo in una condizione oscillatoria, cioè una situazione in cui il circuito è costretto a percorrere caoticamente tutti i suoi possibili stati di equilibrio senza riuscire a trovarne uno stabile su cui fermarsi.

I tempi di transito da uno stato all'altro, implicando variazioni - quindi trasferimenti - di energia, sono per ciò stesso una componente insopprimibile della nostra realtà fisica a cui, ovviamente, i circuiti elettronici non fanno eccezione. In questi ultimi tali ritardi hanno due cause fondamentali, una generale legata ai tempi finiti di propagazione di un qualunque segnale (e quindi di energia per codificarlo e trasportarlo) propri della nostra realtà fisica, che ha nella velocità della luce un limite invalicabile; l'altra specifica dei dispositivi attivi, in cui la rarefazione dei portatori di carica, rispetto alla densità con cui sono solitamente presenti nei conduttori, fa sì che il trasporto di energia avvenga non più direttamente attraverso campi elettrici ma in un formato allo stesso tempo più compatto e più lento - cioè come energia cinetica che, trasportata direttamente sotto forma di quantità di moto da portatori di carica dotati di massa propria, risente della più ridotta mobilità di questi rispetto ai fotoni (i mediatori degli scambi energetici nei campi elettromagnetici) che invece ne sono privi (*)

(*) Per avere un'idea della differente mobilità dell'energia trasportata rispettivamente per via cinetica e per via elettromagnetica si pensi alla differente mobilità posseduta rispettivamente dagli elettroni e dai fotoni all'interno di un cristallo di silicio. Mentre gli elettroni, sottoposti ad un campo elettrico superiore ai 100 kV/cm (un livello piuttosto comune e pure "rilassato" all'interno dei dispositivi a semiconduttore) esibiscono al più una velocità di 100 chilometri al secondo, i fotoni, pur rallentati dalla notevole costante dielettrica del silicio (pari a 11.8) esibiscono pur sempre una velocità uguale quella della luce divisa per la radice di questa stessa costante dielettrica (3.45 circa), ovvero la bellezza di quasi 87.000 chilometri al secondo: la differenza è grosso modo quella esistente tra un Concorde a velocità di crociera e un uomo che si faccia una tranquilla passeggiata col cane! Questo "degrado" non è però senza contropartite: la densità di energia trasportata dai "lenti" portatori di carica sta a quella dei "veloci" fotoni praticamente in rapporto inverso rispetto a quello delle loro velocità relative, fatto che si traduce all'interno dei dispositivi elettronici in un trasporto continuo di energia più compatto anche se dinamicamente meno responsivo. Il risvolto negativo è che si tratta di una modalità di trasporto decisamente dissipativa.

Giunti a questo punto qualcuno ha probabilmente già intuito il vero limite che tutto ciò pone alla controreazione: cioè l'essere sostanzialmente idonea solo per le basse frequenze - in effetti frequenze tanto più basse quanto più massicci sono i tassi di retroazione che si intende utilizzare, al punto che già per conservare un ragionevole tasso di retroazione all'estremo alto della banda audio occorre fare, se non proprio i salti mortali, già qualche buon numero "acrobatico" per salvare la capra del guadagno di anello con i cavoli della stabilità, che cominciano a farsi sentire anche fin troppo volentieri. Cercheremo ora di capire meglio i dettagli di questo stato di cose.

Gli effetti dei tempi di transito in un circuito retroazionato.

I tempi di transito sono come già detto un tratto ineludibile di qualsiasi circuito. Ciò che il rende pericolosi in un circuito controreazionato è che essi introducono una desincronizzazione IRRECUPERABILE tra la perturbazione che un anello di retroazione subisce dall'esterno e il controstimolo che l'anello stesso genera per sopprimerlo e con ciò recuperare il suo equilibrio interno in cui la "quiete" corrisponde all'assenza quanto più possibile completa di qualunque segnale circolante all'interno dell'anello stesso. L'instabilità indotta dai tempi di transito nasce proprio dal fatto che la desincrozzazioni tra stimolo e controstimolo rende elusivo il raggiungimento di questo equilibrio.
Da questo punto di vista va chiarito come dal punto di vista tecnico "stabilità" di un circuito non significhi "imperturbabilità" ma piuttosto "capacità del sistema di recuperare un equilibrio a seguito di una perturbazione originata dall'esterno del sistema stesso. Detto in altro modo, il problema non consiste tanto nella presenza di eventuali oscillazioni quanto piuttosto nel persistere o estinguersi in assenza di variazioni di segnali di ingresso che le sollecitino.

Un tempo di transito "T" incluso all'interno di un anello di retroazione è, a suo modo, una sorta di piccola "macchina del tempo" che confronta un segnale attualmente presente in ingresso (che può anche essere un'assenza di segnale) con un segnale sull'uscita proveniente "dal passato", cioè entrato in circuito a un tempo pari a "-T", generando così un errore dipendente dal rapporto esistente tra "T" e la velocità della variazione del segnale presente.
Come abbiamo già visto nel post introduttivo al Quad 405, mentre in un sistema feedforward i tempi di transito del segnale di ingresso e del segnale di errore possono essere opportunamente regolati in modo da conservare la contemporaneità del confronto tra i due (cioè del segnale di ingresso e dell'errore che esso stesso ha prodotto nel sistema), ciò non è in alcun modo possibile in un sistema retroazionato: l'errore temporale non è compensabile proprio perchè per farlo il sistema dovrebbe esistere "contemporaneamente in due tempi diversi"... una contraddizione secca già nei termini che non fa altro che confermare il vecchio sospetto che il futuro non è in alcun modo prevedibile nel presente - neppure a un livello così elementare (!).

Un tempo di transito "T", al pari di una linea di ritardo, tende a comportarsi, quando vengono messi a confronto i segnali presenti al suo ingresso con quelli prodotti alla sua uscita, alla stregua di un campionatore analogico in cui al segnale, per conservare la sua integrità, non è consentito di avere un periodo inferiore a "2T"; come vedremo tra poco, alla frequenza corrispondente a "1/2T" deve estinguersi ogni guadagno di anello, pena il degenerare del sistema in un oscillatore.
In effetti quello che serve veramente a garantire la stabilità del sistema è impedire che circolino nel suo anello di retroazione segnali di periodo inferiore a "2T" o in alternativa far sì che il circuito, nella regione di frequenze corrispondenti a tali segnali, non disponga più per l suo anello di un guadagno di potenza sufficiente a sostenere la retroazione stessa e quindi sia anche impossibilitato a sostenere ogni sua possibile degenerazione in un oscillatore. Come vedremo tra non molto il far si che ciò si compia nel modo più opportuno è compito che spetta alle famose compensazioni di cui qui possiamo una volta tanto definire cosa sono realmente; nient'altro che filtri in frequenza integrati nell'anello di retroazione. Ma prima di arrivare ad essi conviene ancora dare un occhio ad alcuni dettagli alle reazioni dell'anello di retroazione quando viene sottoposto a segnali di durate inferiore o superiore a "2T".

Segnali di durata inferiore a "2T" - Se iniettiamo in un anello di retroazione un singolo stimolo di durata inferiore al "2T" proprio dell'anello, questi produrrà un controstimolo in ritardo che, completando il giro nell'anello quando il segnale di stimolo originario si è già estinto, ne prenderà semplicemente il posto divenendo esso stesso il nuovo stimolo a cui l'anello è chiamato a reagire - cioè un vero e proprio autostimolo che per sostenersi indefinitamente richiede semplicemente che il guadagno in potenza ad anello aperto del circuito sia, al netto delle perdite e dei fattori di attenuazione introdotti dalla rete di controreazione, anche solo di poco superiore all'unità. E poichè dal punto di vista dell'anello lo "stimolo" è un qualunque evento perturbartivo proveniente dall'esterno, qualunque segnale di questo genere (anche un banale transitorio di alimentazione) avente tempi di variazione inferiori al "2T" nell'anello è in grado di innescare questo comportamento rigenerativo del sistema.

E' evidente che, date queste condizioni, qualunque anello dotato di guadagno in potenza superiore all'unità per frequenze maggiori di "1/2T" sarà condannato per costruzione a degenerare in un oscillatore. Da ciò consegue la necessità, per ottenere un circuito retroazionato praticamente utilizzabile, di far sì che il suo guadagno di anello si riduca a meno dell'unità se non prima, almeno alla frequuenza "1/2T".
Questa è in effetti la condizione base per ottenere un anello stabile, ovvero il garantire l'esistenza di almeno UNO stato stabile (quello di assenza di segnali che lo stimolino) a cui la retroazione possa ricondurre tutti gli altri. Una volta che ciò sia ottenuto, ogni stimolo di durata inferiore a "t" tenderà a generare un treno di osclllazioni smorzate di periodo 1/"t" e di durata dipendente dal guadagno di potenza residuo del sistema compreso tra 0 e 1 che in pratica definisce il "Q" (fattore di merito) dell'anello retroazionato, che è tanto più stabile e "sordo" tanto più questo si approssima allo zero.

Segnali di durata superiore a "2T" -
In un sistema retroazionato stabilizzato per esibire un guadagno inferiore all'unità per tutti i segnali di tempo pari o inferiore al suo "2T" interno, ogni segnale di durata superiore per quanto possa perturbarne l'equilibrio, non farà altro che spostare l'intero sistema da uno all'altro dei suoi possibili stati stabili. Tanto minore è il guadagno residuo alla frequenza 1/"t" (cioè tanto minore è il "Q" dell'anello di retroazione visto come circuito oscillante virtuale) e tanto più diretta e "pulita" - cioè priva di "ringings" - sarà la transizione del sistema dal vecchio al nuovo stato stabile.

E con questo siamo finalmente arrivati al momento di parlare delle compensazioni, ovvero dei "freni" che consentono di sfruttare un sistema retroazionato al massimo delle sue possibilità concrete limitando i rischi di cadere nel burrone dell'instabilità che si trova poco oltre questo massimo. Sarà il tema della seconda parte di questo primo post.

Piercarlo
(continua)

2 commenti:

  1. meglio non usare il concetto di tempo, ma di ritardo di fase, che e` legato alla funzione di trasferimento. Poi per derivazione si ricava, se serve (quasi mai) il ritardo di gruppo e, se presente, il ritardo di trasporto.
    In generale i problemi dipendono dal ritardo di fase, non dal tempo per passare attraverso il circuito.

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  2. Ti ringrazio per il commento. Questo aspetto lo devo affrontare meglio nella seconda parte di questo post (che sto ancora scrivendo) sulle compensazioni. Ho evitato di proposito di parlare di "fasi" perchè solitamente (e inconsciamente penso) fa scattare in chi legge l'idea di trovarsi di fronte a "sinusoidi" mentre tenevo a che il lettore considerasse la questione avendo presente la presenza o assenza di segnali all'interno dell'anello senza però prefigurarsi a priori alcun tipo di inviluppo dello stesso (un atteggiamento secondo me più idoneo a conprendere processi e problemi di una catena audio, che va anzitutto vista come un sistema a larga banda - tre decadi di frequenza - in cui una soluzione ottima a un estremo di frequenza non è detto che rimanga tale anche rispetto all'altro estremo).

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