giovedì 11 ottobre 2012

Amplificazione - 1 - I principi - I transistori bipolari


Premessa

Prima di inoltrarci nell'argomento occorre definire con un minimo di rigore cosa significa veramente "amplificare" in elettronica, indipendentemente dal genere di segnale che si intende amplificare o il tipo di amplificazione che si vuole ottenere.
Anzitutto occorre dire che In elettronica analogica l'amplificazione è giusto l'EFFETTO FINALE di un processo che in realtà non "amplifica" nulla bensì RIPRODUCE un segnale generando una sua copia (a meno di eventuali non lineraità) conforme e in scala con il segnale originario.

I meccanismi con cui avviene tale riproduzione possono essere di varia natura a seconda della tecnologia utilizzata: un'amplificazione nel dominio digitale non è altro che una moltiplicazione tra una sequenza di numeri che rappresenta il segnale da elaborare e un opportuno coefficiente che di volta in volta definisce quanto "deve essere più grande" (ma se occorre anche più piccolo) il segnale all'uscita del sistema rispetto a quello presentato al suo ingresso, avendo cura che esso rientri nel campo di variabilità numerica ammessa dal sistema digitale incaricato di "amplificare" quanto serve il segnale di ingresso (che altrimenti va in overflow, l'equivalente digitale della saturazione nei circuiti analogici).

Quelli di cui ci occuperemo di seguito sono però i sistemi di amplificazione analogici, in cui la riproduzione del segnale di ingresso all'uscita del sistema avviene in un solo modo e cioè utilizzando il segnale di ingresso come VARIABILE DI CONTROLLO di una seconda opportuna variabile dipendente (tensione, corrente, impedenza ecc.) che a sua volta definisce lo stato del circuito di uscita. Il buon funzionamento di questo meccanismo di controllo di una grandezza da parte di un'altra dipende interamente dalle caratteristiche fisiche ed elettriche di quelli che vengono genericamente definiti "dispositivi attivi" e che nella forma più generalizzata possibile si riassumono quasi sempre in un generatore dipendente di corrente inserito in un circuito (quello di uscita) la cui corrente viene definita e controllata da un segnale (solitamente, anche se non sempre direttamente, un segnale in tensione) presente in un circuito (quello di ingresso) che, pur controllando quello di uscita, viene da questo poco o punto influenzato. Questa unilateralità di controllo in un dispositivo attivo è in realtà il fattore chiave che rende possibile l'amplificazione nei circuiti elettronici, al punto che quando in un circuito l'unilateralità di un dispositivo attivo viene meno (ad esempio al crescere della frequenza di lavoro), viene meno anche la sua effettiva attitudine a funzionare da amplificatore.

Il principio base di lavoro dei tripodi attivi

Come già anticipato, in elettronica analogica un generico dispositivo attivo è di base un generatore di corrente controllato in tensione a cui, almeno concettualmente se non sempre fisicamente, è riconducibile QUALSIASI tripode attivo fondamentale a partire dai triodo degli albori dell'elettronica nel ventesimo secolo fino ai transistori bipolari e a effetto di campo usati oggigiorno in ogni combinazione possibile.
Tali dispositivi per svolgere con efficacia il loro compito devono: 1) assicurare che il controllo del circuito di uscita da parte del circuito di ingresso richieda il minor dispendio di energia possibile o, detto in altro modo, che il controllo della potenza impegnata nel circuito di uscita avvenga impegnando a sua volta una potenza nettamente inferiore nel circuito che esercita il controllo; 2) garantire la maggior unilateralità possibile tra circuito di ingresso e circuito di uscita, con una capacità di controllo del primo sul secondo nettamente superiore a quella che il secondo ha sul primo.
Dei due obiettivi, Il primo viene ottenuto controllando con un campo elettrico "l'apertura" di un canale conduttivo rispetto al flusso di portatori di carica (elettroni o lacune) che lo attraversano, ovvero comportandosi nei loro confronti come un vero e proprio "rubinetto elettrostatico" in cui la potenza richiesta per il controllo è solo quella che serve a regolare l'intensità del campo elettrico stesso, indipendentemente dalla potenza che che le cariche in transito rappresentano nel circuito di uscita (caratteristica da cui deriva il suo funzionare come generatore di corrente: questa viene virtualmente regolata sempre allo stesso modo quale che sia la tensione applicata agli estremi del canale conduttivo).
Il secondo obiettivo viene invece ottenuto alimentando i circuiti in continua: poiché in tali circuiti i portatori di carica possono fluire in una sola direzione SENZA ALCUNA POSSIBILITÀ DI TORNARE INDIETRO, l'unilateralità del dispositivo viene assicurata proprio da questo vincolo, il quale peraltro concorre a rafforzare la caratteristica di "generatore di corrente" alla base del funzionamento di questi dispositivi: semplicemente una volta che i portatori di carica sono passati oltre il "rubinetto" proseguono indisturbati per la loro strada indipendemente da ogni successiva variazione di "apertura" del medesimo.

Le differenze tra i tripodi attivi

Quanto sopra sta alla base del funzionamento di tutti i tripodi attivi oggi conosciuti. Le differenze fondamentali tra loro non stanno tanto nei principi generali (che, riguardando in un modo o nell'altro sempre il controllo degli stessi potatori di carica, rimangono immutati) ma piuttosto nei dettagli con cui, in ciascun dispositivo, viene operato il controllo dell'intensità dei portatori di carica in transito. Da questo punto di vista tubi elettronici e transistori a effetto di campo sono sostanzialmente sovrapponibili: la modalità di controllo è piuttosto simile e, non casualmente, simile è anche la sua efficacia nei due casi, entrambi caratterizzati da una transconduttanza - il parametro che caratterizza l'efficacia del controllo della corrente di uscita da parte della tensione di ingresso - piuttosto bassa (compresa tra alcuni milliampere e alcune decine di milliampere per volt, in alcuni casi chiamati più rigorosamente millisiemens).
Completamente diverso è invece il caso dei transistori bipolari e quello dei MOS di potenza che, anziché controllare la conduttività di canale "circondandolo" con un campo elettrico, lo controllano "attraversandolo" riducendo la barriera di potenziale di una giunzione PN (caso dei bipolari) oppure instaurando un "ponte" conduttivo che di fatto "scavalca" la barriera di potenziale di una giunzione polarizzata iinversamente. Nel primo caso la transconduttanza, elevatissima, viene ad essere definita dalla corrente che attraversa la giunzione base-emettitore; nel secondo è invece definita dall'efficacia con cui la tensione di polarizzazione gate-source del MOS di potenza è in grado di tenere aperto il "varco" nella giunzione contropolarizzata drain-source. La transconduttanza di quest'ultima situazione, pur molto elevata (e ben superiore a quella di un ipotetico dispositivo a effetto di campo che lavorante alle stesse correnti di uscita), è comunque nettamente inferiore a quella di un bipolare che si trovi a lavorare con le stesse correnti; in cambio però la velocità e la banda passante gestite dai MOS, a parità di densità di corrente di lavoro, non sono nemmeno lontanamente eguagliate dai bipolari di pari potenza.

Transconduttanza e limiti di amplificazione

La transconduttanza (che si rappresenta con il simbolo "gm", che sta per "conduttanza mutua", con l'aggettivo "mutua" usato nello stesso modo in cui viene usato in "induttanza mutua", ovvero proprio per indicare il controllo dei portatori di carica attraverso un campo - elettrico nel primo caso e magnetico nel secondo) è proprio il parametro che caratterizza quantitativamente l'aspetto "generatore di corrente" dei dispositivi attivi che, nei circuiti equivalenti, viene rappresentato come tale. Nei calcoli che definiscono l'amplificazione di uno stadio basato su un qualunque tripode attivo, "gm" forma, con l'impedenza di uscita del circuito, la coppia di parametri cruciali che, moltiplicati tra loro, forniscono proprio il guadagno in tensione di quel circuito.
Se il generatore di corrente fosse realmente e integralmente tale, sarebbe teoricamente possibile ottenere guadagni in tensione elevatissimi (al limite infiniti) da un solo dispositivo. In pratica ciò è reso impossibile da varie forme di retroazione interne che, pur "parassite" e di ridotto valore, pongono un tetto ineludibile al guadagno massimo estraibile da un unico dispositivo che se da un lato gli impedisce di divenire una sorta di equivalente elettronico della macchina del moto perpetuo, dall'altro lo rendono però un disponsitivo realmente utilizzabile in pratica, cosa che in effetti un dispostivo "ideale" non è affatto.
Sebbene ciascun tripode particolare (triodo, FET, bipolare, MOS...) abbia i suoi specifici meccanismi che gli precludono la strada del diventare "ideale", tutti quanti convergono in ogni caso verso un effetto comune, precisamente il diminuire in vario grado e misura del rapporto unilaterale di controllo tra ingresso e uscita, che tende a deteriorarsi in maniera sempre più marcata al crescere della frequenza di lavoro dei vari dispositivi.

I circuiti base dei tripodi – I transistori bipolari

Per comprendere meglio i dettagli dell'intera situazione esamineremo ora i circuiti equivalenti dei transistori bipolari che faranno, con le opportune variazioni, da riferimento anche per quelli degli altri dispositivi attivi. Nella figura sottostante sono disegnati i circuiti equivalenti delle tre classiche connessioni dei bipolari - emettitore, collettore e base comune - arrangiate in modo tale da sottolineare la topologia circuitale interna comune a tutte e tre le connessioni, decisamente più utili di quelle tradizionali e in grado di evidenziare che, mentre le relazioni tra il transistor e il resto del circuito possono in apparenza venire sconvolte dal cambio di connessione, in realtà dal punto di vista "interno" del transistor le cose continuano a funzionare sempre nello stesso modo, seguendo sempre le stesse relazioni gerarchiche interne, soprattutto quelle fondamentali tra il circuito di ingresso intrinseco del transistore (la giunzione base-emettitore, che è comunque SEMPRE inclusa nel circuito di ingresso quale che sia la connessione adottata) e il canale conduttivo (compreso nella coppia di terminali collettore-emettitore, anch'essa SEMPRE incllusa nel circuito di uscita, indipendentemente dalla connessione del circuito).

Il circuito della connessione ad emettitore comune, rappresentata nella parte "b" del disegno, oltre ad essere il più diffuso è anche quello piiù utile per proseguire il discorso. Esso include pure la resistenza di degenerazione RE sull'emettitore che ci permetterà più avanti di trattare entrambi i casi, con e senza degenerazione, come varianti di un unico circuito).

I circuiti equivalenti di un dispositivo attivo, essendo null'altro che modelli matematiici, sono per loro stessa natura circuiti da non prendere troppo alla lettera; questo significa ad esempio che dove troviamo una resistenza questa va intesa come un qualche cosa che, entro certi limiti (nell'analisi di piccolo segnale), si comporta come una resistenza pur non rimanendo più tale non appensa si passa dal "piccolo segnale" (una situazione ipotetica che permette di trattare analiticamente il circuito come se fosse lineare pur non essendolo affatto) al mondo dei segnali reali. Nel circuito che esamineremo gli unici componenti "reali", non linearizzati di comodo, sono quelli "esterni" al transistor, ovvero "RB", "RC" ed "RE" a cui si aggiunge la sorgente del segnale da amplificare, qui designata con "Vi". Tutti gli altri sono da intendersi come approssimazioni linearizzate di funzioni non lineari utili per farsi un'idea della situazione ma da non prendere troppo seriamente per progettare e dimensionare circuiti reali.

gm·Vbe - Questo pseudo generatore di corrente rappresenta, come già detto, la transconduttanza. La sua presenza è ciò che qualifica un dispositivo come "attivo", cioè in grado di controllare un flusso di corrente e imprimergli variazioni tali da renderla copia conforme del segnale di controllo.
Questo parametro, comunque lo si voglia chiamare e qualunque forma gli si voglia dare per facilitarsi i conti (se si vuole lo si può rappresentare anche come un generatore di tensione e con i triodi lo si è fatto per decenni), rappresenta UNA PROPRIETA' FISICA INTRINSECA del dispositivo attivo - la sua capacità di controllo di un canale conduttivo - e ne rappresenta una sua misura quantitativa. Salvo situazioni particolari, il suo andamento non è praticamente mai lineare e richiede sempre, per essere linearizzato, dei sostanziosi correttivi circuitali, il più efficace dei quali è spesso la connessione in controfase di due dispositivi identici (stadi differenziali e, con i triodi, i "totem" SRPP).

Rbc - Questa "resistenza" rappresenta la corrente inversa della giunzione base-collettore del transistori che, crescendo più o meno linearmente con la tensione applicata alla giunzione fin quasi ai limiti di rottura della stessa, può essere realmente intesa come se fosse una comune resistenza "ohmica" (cioè descrivibile dalla legge di Ohm senza necessità di tener conto di non linearità estranee ad essa ) purché non ci si dimentichi che il suo valore è fortemente dipendente dalla temperatura di lavoro del transistor, un problema peraltro comune anche a tutti gli altri parametri che definiscono nel loro insieme le caratteristiche di un bipolare, che da questo punto di vista tendono ad essere tanto più delicati quanto sono veloci e pregiati, come i planari che, pur ottimi in molte applicazioni, si sono sempre rivelati disastrosamente delicati ogni volta che si è cercato di produrne delle versioni di potenza che conservassero le stesse virtù "velocistiche" di quelli correntemente usati fino agli stadi pilota dei finali (come i BD137-138 e varianti al seguito)i.
Nei circuiti di segnale Rbc riveste un'importanza notevole soprattutto per il fatto che, definendo il parametro Hre, definisce anche il massimo guadagno intrinseco ottenibile da un dato transistor.

Rbe - Questa è la resistenza più "falsa" di tutto il circuito equivalente. Quello che rappresenta realmente, in forma indiretta, è il guadagno di corrente (detto hfe o beta) del transistor: infatti non è altro che l'inverso di gm (ovvero la "Re" a cui abbiamo già accennato), moltiplicato per il beta del transistor. Essa è lineare quanto lo sono "Re" (cioè molto poco...) e il beta, con quest'ultimo che, a condizione di lavorare lontano dai limiti di corrente massimi e minimi dei transistor (condizione quasi sempre osservata nei circuiti di segnale e di piccola potenza), si può comunque considerare di valore ragionevolmente costante.

Il beta di per sé non è  un parametro su cui far gran conto a causa sia della sua sensibilità alla temperatura di lavoro del transistor sia della sua ampia variabilità legata alle tolleranze costruttive dei transistori; tuttavia, una volta assicuratisi che non scenda al di sotto di un minimo (sempre indicato nei datasheet), esso si può tranquillamente considerare un parametro "tranquillo" e, con le dovute precauzioni circuitali, poco influente sulle prestazioni dei transistori.

Cbc e Cbe - Questi due "condensatori" sono, ancor più della Rbe, i migliori candidati al premio "faccia di bronzo" di tutto il circuito equivalente. Essi non rappresentano affatto dei condensatori ma puri e semplici accumuli di cariche elettriche che, trasformando le giunzioni in pseudo condensatori, le rendono, se non opportunamente neutralizzate, dei feroci intermodulatori, soprattutto ad alta frequenza. La ragione di ciò sta nel fatto tali accumuli sono praticamente costanti con la tensione applicata alle giunzioni  e rappresentano in pratica la versione capacitiva dei generatori di corrente: anziché generare una corrente costante rappresentano una carica costante che, lasciata a fare il "condensatore", ne fanno in realtà un condensatore variabile con la tensione, cioè un qualcosa che pur avendo la sua utilità in radiotecnica (è il meccanismo che rende possibili i varicap e la sintonia elettronica), con i condensatori propriamente detti non ha nulla a che fare.
Questi "condensatori" sono anche responsabili dei limiti in frequenza del dispositivo ma soprattutto dei suoi tempi di commutazione che, negli stadi di uscita in classe B o AB, definiscono limiti di frequenza massima drasticamente più bassi di quanto lascerebbero pensare i valori di FT (transition frequency, la frequenza a cui un transistor connesso ad emettitore comune cessa di avere un guadagno in corrente), che solitamente si possono ritenere validi solo nei pochi casi in cui gli stadi finali lavorano realmente in classe A; in tutti gli altri casi vanno, nella migliore delle ipotesi, "ridotte" ad un quinto del valore dichiarato nei datasheet.

Rbb - Questa resistenza di piccolo valore è, nonostante i suoi limiti, la sua scarsa linearità e la forte dipendenza dalla temperatura, proprio ciò che dice di essere: una resistenza. Precisamente è la resistenza esistente tra il reoforo di base e le facce attive delle due giunzioni che la base forma con il collettore e l'emettitore del transistor.
Essendo poco più che un componente parassita, il peso che riveste nel circuito è di solito trascurabile senza troppi pensieri. Nonostante questo, essa gioca un ruolo di "rifinitura" delle caratteristiche del transistor che è tutt'altro che secondario e che in alcuni casi può portare a delle sorprese. In primo luogo, a bassa frequenza, esso fissa il fondo minimo di rumore termico proprio del transistor. In secondo luogo definisce, assieme ai "condensatori" Cbc e Cbe, i massimi limiti di frequenza del dispositivo e i suoi tempi minimi e irriducibili di commutazione. Infine contribuisce anche a definire il minimo tasso di retroazione interna hre del transistor, irriducibile anche pilotando il transistor con un generatore di tensione ideale. Di questi tre punti, per quanto riguarda i circuiti audio, il più importante è il primo.

Rce - Questa "resistenza", abbastanza credibile dal punto di vista fenomenologico, in realtà è insieme a Rbe il componente più astratto dell'intero circuito e rappresenta in esso un fenomeno peculiare dei transistori bipolari che, nei finali di potenza è in realtà il precursore di un fenomeno distruttivo noto come valanga secondaria (second breakdown): l'effetto Early.
Questo effetto è dovuto ad una dipendenza del beta del transistor dalla tensione di collettore e dalla corrente di collettore del transistor stesso che ne incrementa linearmente il valore all'aumentare di queste grandezze. Dal punto di vista grafico delle caratteristiche di uscita, il fenomeno è responsabile dell'aprirsi a ventaglio delle curve al crescere della tensione e della corrente di collettore, dando alle stesse l'apparenza di un mazzo di rette originantesi da un unico punto situato nel semipiano negativo delle tensioni di collettore, che corrisponde ad una tensione fittizia - detta appunto "tensione di Early" (*). Per ogni dato punto di lavoro tensione/corrente del collettore, la Rce non è altro che la retta che collega quel punto all'origine dell'intero mazzo di caratteristiche e definisce, al netto dell'influenza della retroazione interna al dispositivo, il massimo guadagno in tensione intrinsecamente ottenibile in quel punto (pari a Av = gm·Rce). Se la tensione di Early è nota, allora


La Rce può anche essere ricavata dai parametri ibridi un tempo quasi sempre (e oggi purtroppo quasi mai...) forniti dai costruttori di transistori, soprattutto per i di segnale. Per far questo si parte dal fatto che hoe è in realtà la somma due parti che rappresentano il contributo di Rce e quello dovuto alla retroazione interna hre:


da cui è possibile risalire direttamente a Rce:



I parametri «h» dei transistori bipolari

Per buona parte dei transistori di segnale un tempo venivano compilati nei datasheet dei costruttori, e per un punto di lavoro tipico - convenzionalmente fissato a 5 volt di Vce e a 2 mA di corrente di collettore Ice - da cui, con l'aiuto di qualche grafico, pratica e buon senso, si poteva estrapolare tutti i componenti necessari a costruire il circuito equivalente dei transistori a cui, quando serviva, occorreva solo aggiungere la capacità base-collettore e quella collettore-emettitore (mentre non era da tener gran conto quella base-emettitore in quanto veniva specificata in condizioni di polarizzazioni inversa e quindinon pertinente ad un transistor che lavori in regione attiva. Di questi parametri, rintracciabili ancora, almeno in parte, attraverso siti come datasheet-archive e simili, è opportuno avere almeno una conoscenza sommaria dei loro significati.

hie - Impedenza di ingresso tra base ed emettitore, di valore praticamente coincidente (solo un po' minore) con quello di Rbe e per cui valgono le stesse considerazioni fatte in precedenza. Ad Rbe è legato dalla relazione


che è solo un altro modo per dire che hie è la risultante del parallelo tra Rbc ed Rbe. A stretto rigore andrebbe conteggiato anche il contributo di Rbb che però riveste per la maggior parte delle situazioni un interesse puramente accademico. Il suo valore, quando non è dichiarato esplicitamente, può in alcuni casi (cioè quando vengono fornite) essere ricavato dalle curve di rumore costante: seguendo la curva data per la cifra di rumore (NF) di -3 dB, si rintraccia il punto corrispondente all'impedenza di generatore più bassa possibile che, con buona approssimazione, coinciderà con il valore di Rbb cercato.

hfe - Guadagno di corrente o beta, è un numero puro che a tutti gli effetti pratici costituisce soltanto un indice di qualità del componente. A causa della sua inaffidabilità in assenza di una specifica opera di selezione, in sede di progetto non viene quasi mai tenuto in alcun conto, se non per il valore minimo garantito dai costruttori - i quali forniscono transistori suddivisi per fasce di variabilità del beta, contrassegnate da lettere, numeri o anche colori: quelli dotati di beta più alto sono solitamente anche i più delicati mentre, a parità di altre caratteristiche, transistori con beta più basso sono in linea di massima più robusti e in grado di reggere meglio tensioni di lavoro più elevate.

hre - Indice di retroazione interno - espresso da un numero puro, è in assoluto, dopo la transconduttanza, il parametro più importante nel definire le reali capacità e i limiti del transistor preso in considerazione qualora venga usato come amplificatore. Tale parametro, usato come divisore di Hie, permette di risalire al valore di Rbc, cioè al cuore della retroazione interna al dispositivo. In formula:


Questa equazione, insieme a quella fornita prima per trovare Rbe, fa comprendere che in realtà hre non è altro che il coefficiente che si ottiene applicando il teorema di Thevenin al partitore composto da Rbc ed Rbe:


hoe - Conduttanza di uscita del transistore connesso a emettitore comune - cioè l'inverso della sua impedenza di uscita. E' un'entità composta da due parti: l'inverso di Rce, di cui abbiamo discusso qualche paragrafo sopra, e da gm·Hre, l'effetto della retroazione interna al transistor che si manifesta, rispetto all'uscita, come una conduttanza aggiuntiva che ne abbassa l'impedenza interna totale e quindi anche il massimo guadagno ottenibile dal transistor qualora fosse caricato da un generatore di corrente ideale.

gm - Questo parametro, nel caso dei transistor bipolari, non viene fornito in nessun datasheet (e adesso diremo perchè) ma è il primo che va specificato per poterne delinare le condizioni di lavoro e i guadagni. Esso, a parità di corrente di collettore e di temperatura di lavoro del transistor è identico per tutti i transistori, quale che sia la loro dimensione: grandi come la punta di uno spillo o grossi come un sapone da bucato, il valore di gm è sempre lo stesso per tutti e dipende unicamente dalla corrente di collettore e dalla temperatura di lavoro del transistore. La relazione che lega la transconduttanza alla corrente di collettore vale:


dove:

Ic = corrente di collettore
q  = carica dell'elettrone pari a 
k  = costante di Bolzmann pari a 

T  = temperatura assoluta in gradi Kelvin (gradi centigradi + 273.16 °K)

Il termine q/kT corrisponde al reciproco di una tensione (detta tensione termica, perché rappresenta, espressa come tensione elettrica, la velocità media dei portatori di carica a una data temperatura del materiale conduttore - o semiconduttore - in cui si muovono) che viene convenzonalmente assunta come pari a 26 mV, corrispondenti ad una temperatura ambiente assoluta di 302 °K, (28.6 °C) (**)

(fine prima parte)

(*) Questa "tensione" è solo un artificio tecnico per modellare fenomenologcicamente in maniera approssimata ma plausibile l'effetto Early; di per sé non ha alcuna esistenza concreta in quanto la vera causa dell'effetto Early è in realtà la tensione base collettore Vcb.

(**) Quando occorre conoscere il valore del termine kT/q a temperature diverse da quella convenzionale vista sopra, è sufficiente ricordare che tale termne varia di circa 0.862 millivolt ogni 10 gradi di variazione di temperatura del materiale. Questo peraltro ci consente di calcolare la transconduttanza per temperature di giunzione più realistiche dei 25 °C dichiarate nei datasheet: assumendo che un transistor di segnale lavori plausibilemente ad una temperatura di giunzione di 80 °C (353 °K), la sua tensione termica kT/q è ormai superiore ai 30 mV, a cui corrisponde una transconduttanza effettiva proporzionalmente minore (quasi del 20 per cento) rispetto a quella calcolata prendendo per buona la tensione termica convenzionale di 26 mV.

venerdì 7 settembre 2012

PETER BAXANDALL - Audio Amplifier Design - 1


"Non c'è nulla di altrettanto pratico
quanto può esserlo una teoria veramente buona"
(Ludwig Boltzmann)

Tra gli articoli più famosi che Peter Baxandall scrisse per Wireless World, questa serie di sei articoli che comparve su quella rivista nel corso del 1978 e nel febbraio del 1979 è senz'altra quella che più ha lasciato il segno nella storia dell'elettronica audio.
Si tratta in realtà di un unico discorso diviso in sei parti che tratta estesamente (ma anche molto scorrevolmente) di problematiche assai "calde" riguardanti gli amplificatori audio che ancora oggi danno vita ad intense e spesso interminabili discussioni. Baxandall comincia con l'illustrare i dettagli di quella che allora era un argomento molto dibattuto, lo slew-rate e il pericolo dell'insorgenza della cosiddetta "T.I.M" (transient intermodulation distortion) e "S.I.D." (slew induced distortion) derivanti da una sua eventuale insufficienza, mostrando già allora come, una volta soddisfatte alcune condizioni di progetto, si trattasse in effetti di un non-problema, praticamente una tigre di carta (come lo sono spesso i problemi "velocistici" invocati dalla maggioranza degli audiofili).
Nel secondo dei suoi articoli Baxandall comincia a prendere "le misure" di una tigre assai più temibile e da trattare con molto più rispetto - la controreazione, sulla quale entra quasi subito nel vivo di quello che è quasi per antonomasia "il" problema principale della retroazione - la stabilità dei circuiti ai quali viene applicata. Un problema sul quale si dilunga nella terza e quarta parte approfondendo le tematiche del criterio di stabilità di Nyquist, dei diagrammi di Bode e del loro uso. Nelle ultime due parti del suo lunghissimo articolo, la quinta e la sesta, Baxandall affronta l'argomento più controverso e ostico dell'uso della controreazione, ovvero la trasformazione che opera sulle non linearità di un amplificatore cambiandone la composizione e la distribuzione della distorsione che genera, fenomeno per il quale la controreazione è stata accusata di "stravolgere" la struttura armonica del segnale musica - obiezione corretta in linea di principio ma totalmente fallace dal punto di vista pratico: quella che viene "sconvolta" non è affatto la "struttura armonica del segnale musicale" ma piuttosto la struttura della DISTORSIONE armonica prodotta dall'amplificatore su questo stesso segnale musicale, un distinguo non di poco conto visto che si traduce, in pratica, in uno sconvolgimento di gran lunga più ridimensionato rispetto a quanto paventato: dove ci si attendeva una bufera ci si ritrova a malapena una brezza!

Durante la lettura di questo lungo articolo di Baxandall mi son reso che dopo di esso, a livello divulgativo, è stato pubblicato ben poco, per non dire niente, che contribuisse a gettare almeno altrettanta luce sugli intimi meccanismi di funzionamento dei moderni amplificatori audio retroazionati. Considerando il suo valore ma anche la sua anzianità (sono passati trent'anni pieni dalla sua pubblicazione), mi sono deciso a produrne la traduzione in italiano in questo blog sperando di non violare i diritti di nessuno (le fonti, comprendenti oltre al nome dell'autore, il nome della rivista, il numero e le pagine in cui sono pubblicati gli originali in inglese degli articoli tradotti sono ovviamente citati per intero).

Per favorire una maggior comprensibilità del contenuto, il testo originale non è stato tradotto letteralmente ma, all'occorrenza, è stato opportunamente "interpretato" in modo da assicurare, in italiano, una più nitida comprensione dei concetti originariamente espressi in inglese dall'autore. Nel mezzo del testo ho inserito qua e la commenti di chiarimento, in corsivo e racchiusi tra parentesi. Le formule matematiche inserite nell'articolo originale sono state opportunamente convertite in formato e grafica compatibili con i limiti tipografici del blog, accompagnandole dove occorre con il listato delle definizioni dei simboli usati. Le eventuali errata corriges segnalate in lingua originale sono state direttamente integrate nel testo tradotto Le illustrazioni originali sono state tutte ricondizionate o ricostruire graficamente. Buona lettura! :-)


AUDIO POWER AMPLIFIER DESIGN - 1
di Peter Baxandall - Wireless World, January 1978, pp. 53-57

Gli articoli che si occupano di progetti particolari o illustrano soluzioni specifiche di problemi di progettazione abbondano nella letteratura tecnica ed è evidente l'esistenza di visioni anche conflittuali tra loro su certe tematiche - ad esempio quelle riguardanti il tasso di controreazione che dovrebbe essere usato negli amplificatori. Il taglio di questo mio testo vuole distinguersi invece per un approccio piiù astratto all'argomento e mira soprattutto a illustrare e confrontare varie tecniche circuitali, note e meno note, in modo favorire una chiara comprensione tanto dei loro pregi quanto delle loro mancanze.

Nello sfruttamento dei molti notevoli pregi della retroazione negativa, i problemi e le difficoltà che emergono in primo piano sono soprattutto quelle legate all'ottenimento di un adeguato margine di stabilità in qualunque condizione di esercizio. In amplificatori accoppiati in alternata i problemi di stabilità possono sorgere tanto a bassa quanto ad alta frequenza; tuttavia in molti progetti moderni l'eliminazione dei trasformatori di uscita e l'adozione dell'accoppiamento in continua tra i diversi stadi di un circuito hanno virtualmente rimosso i problemi di stabilità a bassa frequenza lasciando in campo solo quelli ad alta frequenza.

Retroazione negativa e i limiti dello slew-rate

A parità di ogni altra condizione operativa, la distorsione di un amplificatore è tanto più bassa quanto più è alto il tasso di retroazione. Vi sono però altri aspetti che è improbabile rimangano gli stessi in quanto, per garantire la stabilità dell'amplificatore occorre utilizzare elementi che attenuano il suo guadagno al crescere della frequenza la cui azione inizia a frequenze tanto più basse quanto più è alto il tasso di retroazione. In questo caso, se non vengono utilizzate tecniche di compensazione idonee allo scopo, è possibile che ad alta frequenza la distorsione aumenti a tal punto da vanificare gran parte dei pregi apportati dall'applicazione della controreazione. In tali condizioni infatti possono verificarsi drastici sovraccarichi agli stadi interni del circuito contro i quali, una volta avvenuti, la controrezione è completamente impotente e non più in grado di conservare un segnale indistorto all'uscita dell'amplificatore.
Lo schema semplificato di amplificatore visibile in figura 1 ci servirà a illustrare il problema. In esso il condensatore "C" attenua il guadagno in tensione del circuito al crescere della frequenza trasformando il transistor Tr2 in un integratore attivo (integratore di Miller - Nel testo originale viene chiamato "integratore di Blumlein", ndt). La corrente "I" erogata dal collettore di Tr1 verso la base di Tr2 include una componente crescente con la frequenza destinata proprio alla carica di "C". Questa corrente, ad alta frequenza e in presenza di ampie escursioni di tensione sul collettore di Tr2, può portare Tr1 al limite delle sue possibilità fino a interdirlo per la parte del ciclo del segnale in cui le richieste di corrente di "C" semplicemente superano le disponibilità erogabili da Tr1.
Che questo succeda o meno può essere determinato senza difficoltà, considerando un segnale sinusoidale, calcolando la corrente in "C" che, ai fini pratici, si può considerare pari a Vout/Xc (la massima tensione di uscita divisa per la reattanza di "C" ad una data frequenza, ndt). Se il picco della corrente richiesta supera la corrente di riposo (dc) di Tr1 allora l'intero amplificatore si ritroverà inevitabilmente a distorcere brutalmente il segnale d'uscita, non contrastata dalla controreazione che in effetti, a causa dell'interdizione di Tr1 e dell'apertura dell'anello di retroazione, si ritrova completamente fuori gioco. La condizione critica che definisce il punto di avvio di questo tipo di distorsione è definita da

(1) Idc = Vout * 2pigreco * f * C

dove:
Idc = Corrente di collettore di Tr1 (in A)
Vout = massima tensione di uscita (in Volt)
2pigreco = 6.2832 (arrotondato)
f = frequenza (in Hertz)
C = capacità (in Farad)

Questa equazione può essere riscritta in modo da ottenere una formula che definisca la frequenza critica al di sopra della quale, con una data tensione di uscita, il circuito entrerà in distorsione indipendentemente dal tasso di retroazione applicato.

(2) Fcrit = Idc/(2pigreco * C * Vout)

Ai giorni nostri è d'abitudine, nel contesto sopra definito, usare il concetto di "slew-rate" anche se non vi è alcuna necessità di farlo. Questo concetto è stato per lungo tempo familiare a chi lavorava in altri settori, in particolare quelle dei servomeccanismi e della tecnologia radar. Se applicato agli amplificatori, l'equazione che governa il concetto di slew rate non è altro che quella che definisce la variazione di carica in un condensatore:

(3) dv/dt = i/C

dove:
dv/dt = limite della variazione di tensione nell'unità di tempo (in Volt/secondo)
i = corrente di carica (con dv/dt positivo) o scarica (con dv/dt negativo) del condensatore (in Ampere)
C = capacità del condensatore (in Farad)

Supponiamo a questo punto, riferendoci ancora alla figura 1, che il transistor Tr1 si ritrovi per breve tempo interdetto e che quindi una corrente approssimativamente uguale a Idc fluisca in Rc e di cui la maggior parte fluisca anche in C, producendo un incremento positivo della tensione di uscita pari a:

(4) [dVout/dt]max = Idc/C

Il risultato così trovato viene chiamato slew-rate limite dell'amplificatore o, più spesso, soltanto slew-rate.
Con lo stadio di ingresso single ended del circuito di figura 1 lo slew-rate in discesa è molto più elevato del corrispondente slew rate in salita in quanto Tr1,se nell'interdirsi può solo annullare la propria corrente di riposo Idc, nel saturarsi può invece assorbirne anche diversi multipli di essa (in effetti in questo tipo di stadio le correnti di carica e scarica di C sono limitate da due differenti costanti di tempo: in salita dal prodotto Rc*C e in discesa da quello Rfb*C - ndt).
Molto diversa è invece la situazione tipica di molti circuiti integrati in cui lo stadio di ingresso è costituito da un differenziale alimentato da un generatore di corrente: in questa circostanza lo slew-rate è abbastanza simile sia sul fronte di salita che sul fronte di discesa del segnale (in realtà l'uguaglianza vale solo per gli amplificatori differenziali caricati da uno specchio di corrente; in caso di carico costituito da una semplice resistenza, come era piuttosto tipico ai tempi in cui Baxandall scrisse questo articolo, lo slew rate sul fronte di salita è solitamente la metà di quello sul fronte di discesa - ndt).

L'equazione (4) si applica a qualsiasi segnale indipendentemente dalla sua forma donda. In qualsiasi momento il tasso di cambiamento richiesto sulla tensione di uscita eccede lo slew-rate del circuito, avremo inevitabilmente a che fare con un amplificatore che letteralmente non riesce a seguire con l'uscita le variazioni del segnale in ingresso. Perciò se un amplificatore ha un limite di slew-rate insufficiente rispetto alle necessità del segnale di ingresso, allora si avrà, ogni volta che il segnale d'ingresso richiede una velocità di adattamento dell'uscita superiore a quella che il circuito può sostenere, un vero e proprio "clippling prematuro" dell'amplificatore in cui la parte di segnale a velocità eccedente le sue possibilità viene "limitata" e "tosata" alla velocità massima consentita al sistema (un segnale sinusoidale tenderà, a parità di ampiezza massima e al crescere della sua frequenza, a ridursi sempre più a un segnale triangolare - ndt).
Questo effetto, ben noto da decenni ai migliori progettisti di amplificatori retroazionati, è divenuto ai giorni nostri noto anche al grande pubblico come distorsione di intermodulazione transiente (T.I.D. Transient Intermodulation Distortion - o anche T.I.M. Transient Intermodulation) in conseguenza del rilievo datovi dagli scritti di Matti Otala. Una terza più recente definizione, dovuta a W. G. Jung è S.I.D. Slewing Induced Distortion.

Di sicuro interesse è a questo punto trovare la relazione che lega la formula (4) dello slew-rate limite alle condizioni che si applicano in presenza di un segnale sinusoidale. Se sostituiamo nella (2) il valore di Idc/C ottenuto dalla (4) abbiamo che:

Fcrit = [dVout/dt]max /(2pigreco * Vout)

o anche:

(5) Fcrit = SR_limite /(2pigreco * Vout)

In quando visto sopra, SR_limite è sempre riferito, come d'uso, alla tensione di uscita dell'amplificatore, specialmente nei datasheet dei circuiti integrati dove è chiamato sempre soltanto "slew-rate". Tale riferimento viene ritenuto generalmente valido per tutte le circostanze, salvo diverso esplicito avviso. Qualche volta tuttavia può essere opportuno riferire lo slew rate alla tensione di ingresso anziché a quella di uscita: l'unica cosa che cambia è che SR_limite viene diviso dal guadagno dell'amplificatore per divenire SRI_limite, cioè slew rate limite di ingresso. Di conseguenza la (5) si trasforma in:

(6) Fcrit = SR_limite /(2pigreco * Vin).

Dalle (5) e (6) emerge con evidenza che, quale che sia il punto di circuito considerato come riferimento (ingresso, uscita o altro) il quoziente tra lo slew rate limite di quel punto e la sua tensione sinusoidale di picco rimane costante, quale che sia il punto preso in considerazione nel circuito (il che costituisce un buon equivalente elettronico del concetto che una catena è forte quanto il più debole dei suoi anelli: lo slew rate di un intero amplificatore è fissato dal più lento tra gli stadi che lo compongono - ndt). La conseguenza più generale di ciò la si ha nell'equazione seguente:

(7) 2pigreco * Fcrit = SR_Limite/V

La tensione di picco "V" è normalmente posta pari a "Vout" massima. La qualità dello slew-rate tra le prestazioni di un amplificatore può pertanto essere espressa come figura di merito espressa in termini di Volt per microsecondo per ogni Volt di uscita dell'amplificatore. Per esempio, se assumiamo una frequenza critica pari a 20 kHz, il minimo slew rate necessario ad un amplificatore per riprodurla senza distorsioni risulta, espresso in volt, pari a

20 x 2pigreco = 125.6 Volt/ms = 0.1256 Volt/us

per ogni volt di uscita (per rendere meglio cosa questo significhi in pratica si faccia il conto per un amplificatore in grado di erogare 40 Volt di picco - ovvero 100 Watt rms su 8 Ohm nominali: il minimo slew rate richiesto per riprodurre indistorto un improbabile segnale a piena potenza di 20 kHz risulta pari a poco più di 5 Volt/microsecondo, un valore tutto fuorchè problematico da ottenere - ndt).

E' interessante ora andare a vedere che tipo di forma d'onda viene prodotta all'uscita di un amplificatore con problemi di slew-rate limitato quando viene pilotato con un segnale sinusoidale all'ingresso. Supponiamo per cominciare che un amplificatore simile a quello raffigurato in figura 1, equipaggiato con uno stadio d'ingresso single-ended che impone uno slew-rate asimmetrico, molto più limitato sul fronte in salita rispetto a quello in discesa del segnale. La figura 2a ci aiuta a comprendere cosa succede: la linea continua rappresenta la sinusoide indistorta desiderata all'uscita del circuito, mentre la linea tratteggiata rappresenta la massima velocità di variazione del segnale che il circuito riesce a "inseguire" ovvero rappreesenta proprio il suo slew-rate limite.


Come si vede nella figura soprastante, il circuito riesce a inseguire la forma d'onda del segnale d'ingresso solo da A a B mentre lungo il percorso BCD, il segnale di uscita rimane sempre più arretrato fin quando il segnale d'ingresso non smette di salire ricominciando (dopo il punto D) nuovamente a scendere. In figura 2b si può vedere la forma d'onda del segnale di uscita, completa delle deformazioni provocate dallo slew-rate. Ancor meglio si può vedere, in figura 3 e in figura 4, ciò che succede in un amplificatore reale. La figura 3 mostra il crescendo della distorsione dovuta ad uno slew-rate asimmetrico, tipico di amplificatori simili a quelli di figura 1, mentre la figura 4 mostra l'analoga situazione per un amplificatore operazionale (LM301) che, equipaggiato di uno stadio di ingresso molto più sofisticato, esibisce limiti di slew rate simmetrici su entrambi i fronti di salita e di discesa del segnale che lo pilota.

Figura 3a1 - Segnale sinusoidale indistorto - velocità del segnale inferiore a quella critica di innesco della S.I.D.

Figura 3a2 - Primi problemi causati da slew-rate asimmetrico - Il fronte di salita della sinusoide comincia ad essere visibilmente appiattito, mentre il suo fronte di discesa rimane indistorto.

Figura 3a3 - Distorsione conclamata indotta da slew-rate limitato e fortemente asimmetrico - Mentre il fronte di discesa della sinusoide continua a rimanere relativamente intatto, il fronte di salita è invece completamente stravolto dalla S.I.D con una tendenza ormai evidente a trasformarsi nel fronte di salita di un'onda triangolare.

Figura 3B1 - Un'onda quadra riprodotta da un amplificatore dello stesso tipo di quello visibile in figura 1. affetto da slew-rate fortemente asimmetrico. - Il fronte di salita dell'onda quadra è visibilmente più inclinato e rallentato di quanto non lo sia il suo fronte di discesa.

FIgura 4a - Segnale in uscita da un amplificatore operazionale LM301 - Segnale sinusoidale a 35 kHz - La forma d'onda è ancora indistorta.


Figura 4b - L'ampiezza del segnale è rimasta identica a quella di figura 4a ma ne è stata aumentata la frequenza da 35 a 45 kHz. L'apppiattimento dei fronti di salita e discesa della sinusoide è ben evidente. Si noti come, a differenza di quanto visto con il circuito di figura 1, lo slew rate abbia praticamente lo stesso valore per entrambi i fronti del segnale.

Figura 4c - Frequenza del segnale portata a 60 kHz. I limiti di slew-rate dell'operazionale in prova sono ormai completamente palesi e la forma d'onda di uscita si è completamente trasformata in un'onda triangolare.

Negli ultimi anni (metà anni settanta, ndt) si è dato molta importanza a questo particolare comportamento degli amplificatori; tuttavia, se è certamente importante impedire che in un amplificatore questo fenomeno causi eccessive distorsioni del segnale, nondimeno la reputazione di "nuova distorsione" che gli è stata attribuita è piuttosto fuori luogo. In definitiva tutto si riduce al semplice fatto che, per evitare fenomeni indesiderati di intermodulazione, un buon amplificatore deve essere in grado di seguire adeguatamente tutti i segnali normalmente presenti in un programma musicale, sia che si tratti di segnali continui o che si tratti di transienti occasionali, senza incorrere in alcun tipo di sovraccarico interno durante l'intero processo.
Una nozione non nuova ma anzi familiare? Infatti; al riguardo non posso fare di meglio che citare Walter Jung quando dice: "non c'è niente di nuovo, unico o misterioso nella distorsione indotta dai limiti di slew-rate o nella distorsione di intermodulazione transiente (T.I.M.)". Va aggiunto tuttavia che poiché alcuni dei primi amplificatori a transistor - non tutti - erano affetti in maniera seria da questo tipo di distorsione, la grande attenzione che ad essa è stata posta è sicuramente un fatto positivo - purché si consideri che la rimozione di significative quantità di S.I.D. non è comunque di per sè una panacea: vi sono molte altre importanti cause di distorsione in un amplificatore.

Come abbiamo già notato prima, il meccanismo limitante dello slew-rate definisce una soglia piuttosto ben definita oltre la quale vi è un forte aumento della distorsione contro il quale la controreazione non ha alcun controllo. Al di sotto di questa soglia del livello di uscita (che è, naturalmente, dipendente dalla frequenza del segnale) la distorsione sarà trascurabile solo se è presente un sufficiente tasso di retroazione generale. Che questo sia sufficiente o meno dipende dalle particolarità di un dato progetto anche se vi possono essere circostanze in cui può non essere ancora abbostanza. Diventa quindi interessante porre attenzione ai meccanismi di distorsione che operano in una situazione "media" in cui è escluso che possano avvenire dei sovraccarichi veri e propri.
Riprendendo in esame l'amplificatore di Figura 1, supponiamo di volergli applicare 6 dB di retroazione in più riducendo Rfb, cosa che rende quasi certamente necessario raddoppiare il valore di "C" per conservare inalterato il precedente livello di stabilità del circuito. Da questo consegue quindi che, mentre da una parte alle frequenze dove "C" ha poca influenza, otteniamo un raddoppio del tasso di retroazione, ad alta frequenza, dove l'azione di "C" è invece dominante, il guadagno di anello rimane lo stesso di prima. Non rimangono però uguali a prima altre cose: con "C" raddoppiato in valore abbiano ora da considerare che, a parità di tensione di uscita e di frequenza del segnale, Tr1 dovrà erogare una corrente doppia rispetto al caso precedente e pertanto tenderà a raddoppiare anche la sua distorsione di seconda armonica (*), con il risultato abbastanza paradossale che, essendo rimasta invariato il tasso di retroazione alle alte frequenze, si avrà su di esse, nonostante l'aumento del tasso di retroazione generale, una distorsione doppia rispetto al caso precedente.

/*) La percentuale di seconda armonica prodotta da un transistor pilotato da un generatore ideale di tensione avente una caratteristica del tipo:

(1N) Isng = Io * exp(q*Vbe/kT)

dove: Isng = corrente di picco del segnale al netto della componente statica di riposo.
Io = corrente di saturazione della giunzione base-emettitore, dipendente dalle sue caratteristiche fisiche e costruttive.
exp = operazione di elevazione a potenza di "e" (pari a circa 2.7183) per il termine racchiuso tra le parentesi a seguito.
q*Vbe/kT = 38.676^ Vbe (a temperatura ambiente - 300 °K) = rapporto tra l'energia impartita da Vbe alle singole cariche e l'energia termica da essa posseduta a temperatura ambiente (rapporto qui utilizzato come esponente di "e")

equivale grosso modo alla tensione termica a temperatura ambiente (Vth, pari a circa 25.8 mV a 300 °K) moltiplicata per il rapporto tra la corrente di picco del segnale I (al netto della corrente di riposo Idc) e la corrente di riposo Idc del transistor.

In formula: Vth * (Isgn/Idc)

Un aspetto particolarmente comodo di (1N) consiste nel fatto che, fissata una corrente di riposo Idc, la percentuale di distorsione di seconda armonica è pari al valore di picco, in millivolt, della variazione di Vbe necessaria a generare, rispetto a Idc, la variazione di corrente che l'escursione in uscita del segnale in tensione richiede per alimentare il carico ad essa connesso - ndt.


Una conseguenza particolarmente nefasta del raddoppio di "C" è che da esso, fermi restando i limiti massimi di corrente erogati da Tr1, consegue un dimezzamento secco dello slew-rate limite del circuito con consenguente dimezzamento della frequenza massima a cui è possibile ottenere un'escursione di uscita piena senza sovraccarico di Tr1 - si riveda in proposito l'equazione (2) nei paragrafi iniziali di questo articolo.
Molto frequentemente (all'epoca in cui Baxandall scriveva l'articolo: oggi giorno si può tranquillamente dire "praticamente sempre" - ndt) il circuito di ingresso di un amplificatore è costituito da uno stadio differenziale che va a sistituire il singolo transistor di ingresso del circuito di Figura 1. Questo tipo di stadio, se ben bilanciato, genera una distorsione di uscita prevalentemente terza armonica e con percentuale proporzionale al quadrato delle variazioni della corrente di uscita del circuito (una caratteristica questa tipica di tutti i dispositivi - come per esempio i registratori a nastro - in cui la funzione di trasferimento statica è espressa da un'equazione cubica). Perciò, rifacendoci al caso appena visto in cui il tasso di retroazione a bassa frequenza viene raddoppiato e con esso il condensatore "C" di compensazione, mentre ad alta frequenza la distorsione di seconda armonica raddoppia, quella di terza addirittura quadruplica (arrivando rapidamente a sovrastare la prima nonostante, di suo, parta da livelli di circa un ordine di grandezza più modesti - ndt).
Ci veniamo quindi a trovare in una situazione in cui, aumentando il tasso di retroazione generale e ridefinendo di concerto le capacità di compensazione del circuito, aumentiamo anche la parte di distorsione ad alta frequenza dovuta alla caratteristica di trasferimento non lineare dello stadio di ingresso. Nella maggior parte dei casi in effetti questa causa di distorsione ad alta frequenza, restando al di sotto dei limiti imposti dallo slew rate, è di gran lunga dominante su tutte le altre. Tuttavia anch'essa, attraverso un'opportuna progettazione dei circuiti d'ingresso che descriveremo più avanti, può essere ridotta a livelli praticamente trascurabili.
E' interessante a questo punto valutare come il tipo di distorsione statica appena descritto, non dovuta a sovraccarico ma semplicemente alle non linearità intriseche al circuito, vari al crescere della frequenza del segnale. Si assume in prima istanza l'uso di uno stadio di ingresso differenziale. E poichè in esso la corrente erogata agli studi successivi è, a causa del condensatore di compensazione, proporzionale alla frequenza del segna, ne consegue evidentemente che, essendo la distorsione di terza armonica generata dallo stadio di ingresso proporzionale al quadrato della sua corrente di uscita, essa sarà anche proporzionale al quadrato della frequenza che tale corrente sollecita. Ma poichè a questo fattore si aggiunge pure il fatto che, sotto compensazione, il tasso di retroazione si dimezza al raddoppiare della frequenza di lavoro del segnale, la distorsione di questo all'uscita dell'amplificatore sarà non più proporzionale al quadrato della frequenza bensì al suo cubo. Nel complesso la distorsione di terza armonica risulterà proporzionale al quadrato dell'ampiezza del segnale moltiplicato per il cubo della sua frequenza. La situazione corrispondente per lo stadio di ingresso non differenziale del circuito di figura 1 corrisponde a una distorsione di seconda armonica proporzionale all'ampiezza del segnale moltiplicato per il quadrato della sua frequenza - caratteristica questa tipica di tutti i dispositivi la cui curva di trasferimento è descritta da un'equazione quadratica (en passant una situazione decisamente meno drastica nelle sue transizioni da basso ad alto livello e da bassa ad alta frequenza: questa probabilmente è anche la vera ragione della relativa maggior "gradevolezza" della distorsione di seconda armonica rispetto a quella di terza nelle elettroniche e da questo punto di vista la sua apparente parentela con l'ordinamento in ottave della scala musicale non è nulla di più che una coincidenza fortuita - e fuorviante - ndt).

Da quanto abbiamo appena detto è evidente come i tipi di distorsioni discussi crescono molto rapidamente con la frequenza ben prima di incorrere in problemi causati dallo slew-rate come tale. In figura 5 si può vedere l'andamento della distorsione prodotta da una curva di trasferimento cubica così come dedotta dalle considerazioni appena fatte riguardo agli stadi di ingresso differenziali (bilanciati). Occorre dire però che gli stadi di ingresso single-ended, pur producendo un aumento della distorsione rispetto alla frequenza, sono tuttavia piiù inclini a generare una distorsione complessiva molto più elevata dei corrispondenti stadi differenziali.
Jung chiama le distorsioni generate dagli stadi di ingresso che precedono quelle realmente dovute ai limiti di slew rate, "S.I.D. di primo tipo" mentre quella propriamente dovuta ai limiti di slew-rate la chiama "S.I.D. di secondo tipo" (rispettivamente 
"Category I slewing induced distortion" e "Category II slewing induced distortion" nell'originale - ndt). E' importante qui non lasciarsi fuorviare da questa terminologia e tenere comunque presente che la "S.I.D. di primo tipo" in realtà non è altro che la ben nota distorsione da non linearità STATICA tipica degli stadi di ingressi che, a causa delle compensazioni e delle correnti richieste per alimentarlie viene trasformata dalla controreazione in una distorsione DINAMICA dipendente dalla frequenza nonostante la sua propria natura sia essenzialmente aperiodica. Sebbene si tratti, al pari della S.I.D. vera e propria, di una distorsione dipendente sia dall'ampiezza che dalla frequenza del segnale, le sue cause sono in realtà completamente diverse, come lo sono anche i suoi effetti complessivi sul segnale di uscita (detto in altro modo: sono due problemi distinti per cui vanno trovate soluzioni separate. Le soluzioni di un problema non risolvono necessariamente anche l'altro - ndt).

Figura 5 - L'incremento teorico della distorsione di terza armonica rispetto alla frequenza del segnale generata dallo stadio differenziale di ingresso di un amplificatore a prescindere dai suoi eventuali limiti dovuti allo slew-rate.

Sebbene la figura 5 mostra come la distorsione ad alta frequenza originata dallo stadio di ingresso cresca rapidamente con la frequenza del segnale di misura applicato, questo non implica in alcun modo che le armoniche generate ad una qualsiasi frequenza di misura si ritrovino aumentate di ampiezza in relazione al loro ordine. Per comprendere meglio la situazione si considerino prima di tutto gli effetti che si avrebbero disinserendo completamente la retroazione generale. Riferendoci ancora alla figura 1 all'inizio dell'articolo, si può comprendere come le armoniche presenti nella corrente erogata dallo stadio di ingresso al transistor Tr2 siano in realtà attenuate in esso in proporzion al loro ordine a causa dell'azione integratrice esercitata dal condensatore di compensazione "C". Pertanto avendo l'anello di retroazione aperto, le armoniche presenti nella tensione di uscita dell'amplificatore generate dalla distorsione dello stadio di ingresso, decadranno in ampiezza ad un ritmo di 20 dB/decade (6 dB/ottava), cioè molto più rapidamente di quanto esse tendano ad essere incrementate dall'aumento della distorsione dello stadio di ingresso.
Comunque, con l'anello di retroazione chiuso e assumendo "C" come la sola causa della riduzione del guadagno di anello del circuito, a causa del decremento di questo di 20 dB/decade lo spettro ultimo della distorsione in uscita dal circuito mostrerà le stesse ampiezze relative della distorsione generata dal solo circuito di ingresso.
Detto in altro modo, considerando lo stadio d'ingresso come unica causa di distorsione, lo spettro di questo sarà, per ciascuna frequenza, indipendente dalle variazioni del tasso di retroazione. Il decremento dell'ampiezza delle componenti lo spettro di distorsione (dovuto all'aumento dell'integrazione operata da "C" al crescere della frequenza) viene compensato e annullato dalla riduzione al crescere della frequenza del tasso di retroazione causato dallo stesso "C", che finisce così per essere determinante per l'aumento della distorsione assoluta prodotta dal circuito al crescere della frequenza ma al tempo stesso anche completamente ininfluente sulla sua composizione spettrale.
Lo stesso ragionamento può essere applicato al caso di stadio di ingresso differenziale alimentato da generatore di corrente. Infatti, a condizioni di non operare troppo a ridosso dei limiti di slew-rate del circuito, la sua distorsione sarà dominata essenzialmente dalla terza armonica, con le armoniche superiori in decremento tanto più rapido quanto è alto il loro ordine. Un tipo di distorsione di gran lunga più innocuo rispetto, per esempio, alle peggiori forme di distorsione di incrocio. Ciò che conta in questi casi è arrangiare il progetto del circuito in modo tale da evitare che tale distorsione raggiunga valori troppo elevati.

Slew-rates e musica registrata.

I dischi fonografici (i compact disc al momento della stesura dell'articolo originale erano ancora ben di là da venire, sebbene vi si stesse già lavorando da tempo, ndt) sono frequentemente usati come sorgente di musica da riprodurre, soprattutto quando occorra esprimere dei giudizi soggettivi sulle prestazioni generali di un impianto audio ed è quindi scontato l'interesse che riveste in questo caso il conoscere l'ordine di grandezza dello slew-rate da aspettarsi all'uscita di un amplificatore-equalizzatore RIAA di alto livello. Questo tipo di informazioni possono essere facilmente ottenute utilizzando un semplice circuito differenziatore come quello mostrato in figura 6.


Questo circuito, alimentato direttamente dall'amplificatore in prova, produce, con i valori dei componenti assegnati, una tensione di uscita di 1 Volt quando lo slew-rate del segnale misurato è pari a 1 Volt/us. A questo tipo di circuito può essere mossa l'obiezione che il suo limite di slew-rate possa degradare lo slew-rate effettivo della sorgente (la testina del giradischi). Tuttavia per valutare se sia il caso o meno di considerarlo un problema, è sufficiente sostituire la testina fonografica con un oscillatore e così determinare direttamente lo slew-rate limite del sistema amplificatore: con buone elettroniche si troverà sempre un valore di gran lunga più elevato di qualunque valore di slew-rate ricavabile da qualsiasi disco fonografico (e, per quando riguarda il nostro tempo, anche da qualsiasi compact disc, a condizione naturalmente che vi sia registrata effettivamente della musica e non segnali da laboratorio, ndt),
La procedura sperimentale usata (la prova eseguita dall'autore all'epoca si può definire sicuramente "casalinga" ma nonostante questo è di gran lunga più rigorosa di tante cosiddette "sessioni di ascolto" piene di aggettivi fumosi oggi di gran moda! ndt)  è stata la seguente: con l'oscilloscopio collegato direttamente all'uscita dell'amplificatore in prova si è usato un disco test per verificare la risposta in frequenza dell'impianto entro +/- 1 dB fino a 12 kHz. Quindi si è scelto un adatto disco di musica per regolare il comando di volume in modo che, prima del circuito di figura 6, si visualizzassero saltuariamente sull'oscilloscpio valori di picco di al massimo +/- 10 Volt. Dopodichè l'oscilloscopio è stato spostato sull'uscita del circuito differenziatore e il disco è stato riascoltato, determinando in questa fase la massima escursione in tensione sull'uscita del differenziatore stesso. La prova è stata eseguita con svariati dischi di musica incluso un disco "in ripresa diretta" della Sheffield. Il valore di uscita più elevato letto dopo il differenziatore è stato di circa 0.4 Volt, causato da occasionali difetti del disco; durante la riproduzione di musica però non ha mai superato il valore di 0.14 Volt, un valore che corrisponde allo slew-rate istantaneo di una sinusoide di +/- 10 Volt, avente  una frequenza di circa 2.2 kHz (più probabilmente sta parlando di una frequenza di 2.12 kHz, corrispondente ad una costante di tempo di 75 uS, una delle tre che specificano lo standard di equalizzazione RIAA, ndt).
Quanto detto sopra implica, almeno per la riproduzione di dischi fonografici, che un amplificatore in grado, alla frequenza di 2.2 kHz, di riprodurre indistorto un segnale sinusoidale alla massima ampiezza senza incorrere in problemi di slew-rate e senza essere affetto oltre misura da altre non linearità, sarà in grado di riprodurre indistorto, a questa stessa ampiezza, qualsiasi materiale musicale registrato su disco.

Qualcuno a questo punto riterrà ridicola e contestabile la mia affermazione in quanto "è ben noto che un amplificatore deve essere libero da problemi di slew-rate almeno fino ai 20 kHz!". Al che domando: questo l'ha stabilito qualcuno con sicurezza? Non lo penso ma, nel dubbio, è sicuramente meglio affrontare la questione da un angolo visuale differente.
Sappiamo che la massima velocità istantanea che si registra su un disco fonografico cade nella banda di frequenze che, all'incirca, si estende dai 700 Hz agli 8 kHz e si situa attorno ai 30 cm/s. Supponiamo ora che il guadagno dell'equalizzatore RIAA di un impianto sia regolato in modo tale che un segnale sinusoidale di 1 kHz, registrato ad una velocità massima istantanea di 30 cm/s produca alla sua uscita un segnale in tensione di 10 Volt di picco. E poiché per un'onda sinusoidale la massima variazione istantanea di tensione (Volt/secondo) è pari a:

Volt/secondo = Vpk * 2pi * F

dove:
Volt/secondo = unità di misura della variazione di tensione
Vpk = Tensione di picco del segnale sinusoidale (in Volt)
2pi = 2 pigreco, corrispondente approssimativamente a 6.2832
F = Frequenza del segnale (in Hertz)

che con i valori dati sopra ci fornisce 62832 Volt/s, corrispondenti a circa 0.062832 Volt/us ovvero, per maggior chiarezza, a 62.832 mV/us... E una velocità di incisione di 30 cm/s è un valore relativamente fuori dal comune. Ma anche così, e anche non tenendo conto dell'attenuazione oltre i 2.2 kHz portati dall'equalizzazione RIAA, lo stesso segnale considerato prima ma registrato alla frequenza di 8 kHz genererebbe un segnale di velocità soltanto otto volte maggiore, ovvero circa 0.5 Volt/us (a 20 kHz, senza equalizzazione RIAA, la velocità del segnale sarebbe pari a circa 1.26 Volt/us per 10 Volt di picco di uscita che, sebbene oggi, a differenza del tempo in cui Baxandall scrisse l'articolo, sia un segnale effettivamente generabile da un lettore CD, nondimeno continua a richiedere per le sue effettive necessità di riproduzione indistorta uno slew-rate ridicolo rispetto alle a dir poco "sovradimensionate" pretese di molti audiofili circa questo parametro - un "sovradimensionamento" non casualmente molto ben pompato da parecchi progettisti cosiddetti "esoterici" in quanto, seppur totalmente inutile, è pure molto semplice da ottenere anche se non senza poco simpatici - e molto taciuti... - effetti collaterali, ndt).

Nel calcolo sopradetto occorre però tener conto dell'equalizzazione RIAA che ad 8 kHz, rispetto alla frequenza di 1 kHz, intronduce un'attenuazione di 11.7 dB, pari a 3.846 volte, e che ridurrà di conseguenza il segnale di 0.5 Volt/us calcolato prima al valore di soli 0.13 Volt/us che, come si può notare, è un valore sorprendentemente vicino a quello di 0.14 Volt/us rilevato sperimentalmente.

Con il circuito differenziatore di figura 6 si è anche misurato i valori prodotti da un concerto di violino con accompagnamento pianistico registrato con inusuale fedeltà su un nastro master da studio. Una volta regolato l'impianto in modo da ottenere come prima una tensione di picco in uscita di 10 Volt, il picco istantaneo di velocità misurato all'uscita del differenziatore è risultato essere pari a 83 mV, equivalente ad uno slew rate avente lo stesso valore. Tale segnale equivale a quello prodotto da una sinusoidi da 1.3 kHz circa, avente un'ampiezza pari a 10 Volt di picco (anche qui emerge la natura "casalinga" delle prove di Baxandall, effettuato con un nastro al ferro equalizzato a 120 uS, il cui rolloff corrisponde appunto a circa 1.3 kHz - per i più pignoli 1326,3 Hz - ndt).
Una prova analoga è stata eseguita riproducendo la musica ricevuta da un sintonizzatore FM, ottenendo risultati piuttosto simili. Tuttavia, a causa dell'azione abbastanza approssimativa dei filtri anti-MPX posti alll'uscita del sintonizzatore stesso, il valore rilevato è risultato essere, sempre con un segnale di picco di 10 Volt, di 0.4 Volt/us, decisamente più elevato rispetto a quanto misurato in precedenza. Tuttavia usando il fltro antisoffio da 10 kHz del preamplificatore ed eliminando quindi quasi del tutto i residui MPX presenti sull'uscita del sintonizzatore, il valore di picco prodotto dal solo segnale audio effettivamente presente si è attestato a circa 0.15 Volt/us, in  linea con i risultati precedenti.
E' evidente in questo caso che, senza l'azione del filtro antisoffio, il limite di slew-rate richiesto è definito in gran parte dal livello delle spurie MPX residue all'uscita del sintonizzatore, da cui possono conseguire spiacevoli effetti di intermodulazione nel caso l'amplificatore a valle non sia in grado di seguire appropriatamente anche questo tipo di segnale, le cui caratteristiche, fortemente legate alla qualità del progetto e della messa a punto del sintonizzatore stesso, non sono realmente definibili a priori.

I valori piuttosto bassi di slew-rate prima rilevati non devono sorprendere più di tanto, soprattutto se si tiene a mente che gran parte delle strategie di pre-enfasi e de-enfasi largamente impiegate durante la registrazione e diffusione di musica sono in buona misura basate sulla constatazione del fatto che le componenti ad alta frequenza di tutte le forme d'onda audio sono di ampiezza molto minore di quella propria alle componenti a più bassa frequenza del segnale musicale.

Lo slew rate realmente necessario in un amplificatore

Una volta accertato che l'amplificatore non venga usato in condizioni di sovraccarico e una volta provveduto all'esistenza di un adeguato tasso di retroazione che assicuri un basso livello di tutte le comuni distorsioni che, oltre alle limitazioni di slew-rate, affliggono gli amplificatori in genere, non vi è alcuna necessità imperativa di ottenere dall'amplificatore stesso valori di slew-rate superiori a quelli richiesti dalla massima velocità dei segnali che è chiamato ad amplificare. Questo punto merita di essere particolarmente sottolineato in quanto, dalla lettura degli interessanti articoli di Walter Jung, si potrebbe essere indotti a saltare alla conclusione che vi sia qualche necessità fondamentale nello spingere i valori di slew-rate richiesti ad un amplificatore a valori molto più elevati di quanto realmente richiesto dalla massima velocità imposta dalle forme d'onda del segnale musicale.
Che ciò non sia necessariamente vero lo si può verificare immaginando, o costruendo effettivamente, un amplificatore configurato all'incirca come quello rappresentato in fig.1 ma con lo stadio di ingresso (Tr1) sostituito non da un semplice stadio differenziale ma da un circuito molto più complesso e fortemente controreazionato al suo interno, in modo tale da assicurare che qualsiasi circuito dell'amplificatore precedente il condensatore di compensazione "C" produca una distorsione trascurabile, almeno fino al punto in cui il sovraccarico dovuto ai limiti di slew-rate si manifesta in modo esplicito.  Un simile circuito risulterà, rispetto al "nuovo criterio dello slew-rate" proposto da Walter Jung, largamente insoddisfacente ma ciononostante, una volta provveduto a che la distorsione presente sull'uscita rimanga sufficientemente contenuta, non riuscirà a produrre con i normali programmi musicali alcun degrado qualitativo soggettivamente identificabile (e questo anche quando STRUMENTALMENTE tale degrado sia invece già evidente e misurabile - ndt).
Di fatto, con uno stadio di ingresso differenziale, a garantire che la distorsione prodotta continuerà ad essere principalmente la sua propria caratteristica. di terza armonica, con armoniche di più alto ordine di ampiezza ben più ridotta, è sufficiente assicurarsi che lo slew-rate dell'amplificatore sia superiore di un ammontare ragionevole rispetto a quello richiesto dalla massima velocità del segnale in transito - diciamo di una o due volte. In tale contesto la distorsione avrà di fatto la stessa natura di quella prodotta da un buon registratore a nastro ma con un'ampiezza che assumerà valori apprezzabili solo alle alte frequenze della banda audio. Ma una volta che tale distorsione venga mantenuta dalla retroazione - per stare sul sicuro - ragionevolmente al di sotto di quella propria del sistema di registrazione, essa risulterà nei fatti soggettivamente inaudibile.

NOTA FINALE - Quando affermato da Baxandall, riferito al meglio della tecnologia audio domestica disponibile nel 1977, rimane qualitativamente valido anche oggi nonostante la tecnologia di registrazione e riproduzione audio sia mutata, dal lato della sorgente, come più non poteva: ciò che effettivamente cambia è la scala entro cui va valutata l'accettabilità o meno del quantitativo di distorsioni introdotte. Se nel 1977 una distorsione effettiva dell'intera catena elettronica inferiore allo 0.1 % poteva essere ritenuto adeguato a porsi al riparo da qualsiasi problema, oggi, almeno a livello di requisiti strumentali, occorre fissare i paletti ad almeno un'ordine di grandezza inferiore (per il formato CD a 16 bit) o anche due ordini di grandezza (per il formato a 24 bit qualora sia REALMENTE sfruttato). Ma nonostante questo inasprimento dei requisiti richiesti alle elettroniche, il discorso di Baxandall riferito alla reale incidenza del problema dello slew-rate sulla qualità della riproduzione musicale rimane a tutt'oggi interamente valido - ndt

Riferimenti bibliografici

1) - Jung, W.G., Stephens, M.L., Todd, C.C., "Slewing induced distortion in audio amplifiers", articles series preprint in The Audio Amateur, February 1977.

2) - Jung, W.G., Stephens. M.L., Todd. C.C., "Slewing induced distortion and its effect on audio amplifier performance - with correlated measument/listening results", AES preprint 1252, AES Convention, May 1977.

3) - Jung, W.G., "Slewing induced distortion", in Hi-Fi News, November 1977, pp. 115-123.

(Gli articoli di Walter Jung dovrebbero essere tuttora reperibili e scaricabili gratuitamente presso il suo sito, peraltro ben "pieno" di ottimo materiale inerente numerosi temi di elettronica analogica - ndt).

4) - Baxandall, P.J., "Low ditortion amplifiers - Part 2", in J.British Sound Recording Association, November 1977, pp. 246-256.

5) - Taylor, E.F., "Distortion in low-noise amplifiers", in Wireless World, August 1977, pp. 28-32

6) - Kogen, J.H., Gramophone-record reproduction: development, performance and potential of the stereophonic pickup". in Proc. IEE, vol 116, n.8, August 1969, pp 1338-1344.